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Lambro, Legambiente: “Italia impreparata”

15 marzo 2010 0 commenti
Le operazioni di bonifica del Lambro

Le operazioni di bonifica del Lambro

 L’Italia si è rivelata impreparata ad affrontare emergenze come quella accaduta sui fiumi Lambro e Po. Solo la buona volontà e la prontezza della Protezione civile locale, dei tecnici della depurazione dell’impianto di Monza e di alcune Province e Comuni hanno consentito che il disastro non avesse conseguenze peggiori”. È questa la considerazione di Legambiente alla conclusione della campagna ‘Operazione Sos Po- Lambro’, partita subito dopo il disastro raggiungendo le zone più colpite lungo l’asta dei fiumi.

 

 

A conti fatti, da dati ufficiali, “sono stati sversati 3.000 metri cubi di petrolio, cioè 2.600 tonnellate di idrocarburi di cui 1.800 di gasolio e 800 di oli combustibili – segnala Legambiente – gli interventi di contenimento hanno fatto sì che 1.250 tonnellate venissero bloccate dal depuratore di Monza, 300 nel piazzale della Lombarda Petroli, 200 fermate lungo il Lambro e 450 arrestate dalla diga di Isola Serafini”.

 

Delle 400 tonnellate che mancano all’appello, “quantità imprecisate sono evaporate o si sono depositate sulle sponde, e dunque solo una piccola frazione, sicuramente inferiore al 10% dello sversamento, ha raggiunto il delta e da qui l’Adriatico”. Il danno è stato “comunque molto grave per le acque e l’ecosistema fluviale, e richiede azioni efficaci di risanamento e recupero ambientale”

 

Al danno da petrolio “si è aggiunto quello legato alla messa fuori servizio del grande depuratore di Monza, che serve 700.000 abitanti equivalenti – denuncia Legambiente – gli effetti sono stati limitati grazie alla tempestività degli interventi di ripristino messi in atto dalle maestranze dell’impianto, rientrato in funzione in anticipo sui tempi previsti, e alla modulazione delle portate del fiume attuata dall’ente Parco Regionale della Valle del Lambro, che regola la diga del lago di Pusiano: chiusa durante la discesa del petrolio per rallentare la marea nera, e poi riaperta per diluire i reflui del depuratore”.

 

Per verificare la situazione, Legambiente ha voluto “toccare con mano” ed è partita per un viaggio contro corrente – dal Delta fino a Villasanta – sulle tracce del disastro, per constatare direttamente i fatti e verificare, con i diretti interessati, come è stata affrontata l’emergenza. Per dieci giorni i tecnici di Legambiente, insieme ai circoli e ai comitati regionali di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, hanno incontrato associazioni, amministratori e semplici cittadini, che vivono sulle sponde di Po e Lambro.

 

Dagli agricoltori ai pescatori, dagli allevatori di mitili del delta del Po ai dirigenti dei Parchi e agli assessori delle provincie da Rovigo a Piacenza fino a Monza, “chiedono con forza che il Lambro non venga escluso dagli interventi di risanamento del Po”, segnala Legambiente. Fra le istituzioni incontrate non potevano mancare l’Autorità di Bacino del Po e le Arpa delle tre regioni coinvolte.

 

Durante il viaggio Legambiente ha registrato “la rabbia e la speranza dei cittadini che vivono sull’asta fluviale e la preoccupazione per il danno ambientale che questo disastro ha portato”. Molte sono state “le conferme alle accuse lanciate fin dalla prima ora”. Innanzitutto quella relativa “alla sottovalutazione della Regione Lombardia sull’entità dello sversamento, sottovalutazione che ha messo in grave difficoltà gli interventi successivi messi in campo nelle regioni Emilia Romagna e Veneto”.

 

A questo si aggiunge “la mancanza e l’inadeguatezza dei controlli delle industrie a rischio di incidenti rilevanti come la Lombarda Petroli: un fatto scandaloso, considerato che nella sola Lombardia le aziende a rischio sono ben 287”. Appare ormai “chiaro”, infatti, che “Lombarda Petroli, pur essendo riuscita da un anno ad uscire dal novero delle aziende a rischio, deteneva quantitativi di idrocarburi superiori al consentito, in condizioni di grave carenza di sistemi di sicurezza”.

 

Un quadro “sconcertante – attacca Legambiente – derivante anche dalla perdurante sovrapposizione di ruoli (le ispezioni al sito di Lombarda Petroli, a quanto pare superate con esito positivo, sono infatti una competenza del ministero dell’Ambiente), che alla fine si è trasformata in tragedia ambientale”.

 

Tutti i rappresentanti istituzionali incontrati nel corso del viaggio hanno lamentato la mancanza di un coordinamento nazionale per l’emergenza fin dall’inizio del disastro – denuncia Legambiente – il ritardo con cui le Regioni hanno chiesto lo stato d’emergenza nazionale ha determinato disordine e conflitti nell’organizzazione degli interventi, senza che vi fosse chiarezza sulla catena di comando”.

 

Resta “tutta da chiarire la dinamica degli eventi che hanno impedito di fermare la marea nera agli sbarramenti di Cerro al Lambro e Melegnano (Milano): in quel punto sono transitate circa mille tonnellate di idrocarburi, una quantità certo enorme, ma corrispondenti alla capacità di 40-50 autocisterne, mezzi che non sarebbe stato impossibile predisporre e gestire nell’arco delle molte ore che la marea nera ha impiegato per raggiungere i due centri al confine del territorio milanese”.

 

Un “plauso” invece va “agli enti brianzoli e a quelli piacentini – rileva l’associazione ambientalista – con sangue freddo e decisioni giuste, gli interventi dei dirigenti della provincia monzese, del Parco della Valle del Lambro e dell’Azienda che gestisce il depuratore sono stati sicuramente i più efficaci e tempestivi, mentre ai Sindaci di Piacenza e Monticelli, insieme al Presidente della Provincia e all’Autorità di Bacino, deve essere riconosciuta l’azione risolutiva, resa possibile dalla richiesta di intervento della Protezione Civile Nazionale in un momento di grave mancanza di coordinamento”.