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Mucca Pazza, dieci anni dopo. Gli italiani fanno manbassa di prodotti tipici: consumi aumentati del 650%

9 marzo 2011 0 commenti

Grana padanoL’emergenza ‘mucca pazza’ ha contribuito a spingere nei dieci anni successivi i consumi di prodotti tipici degli italiani, che sono aumentati del 650 per cento per un valore che ha raggiunto i 7,5 miliardi di euro. È quanto è emerso nel corso dell’incontro ‘Mucca pazza: dieci anni dopo’, promosso dalla Coldiretti e dalla Fondazione Univerde, a dieci anni dal varo delle misure emergenziali nazionali. È stato evidenziato come nello stesso periodo si sia verificato il raddoppio del numero di prodotti a denominazioni di origine protetta (Dop/Igp) nazionali riconosciuti dall’Unione Europea, che ha consentito di sorpassare la Francia e di conquistare la leadership europea con gli attuali 221 prodotti tutelati.

“La mucca pazza è stata uno spartiacque tra un modello di sviluppo dell’agroalimentare rivolto solo al contenimento dei costi ed uno attento alla qualità, all’ambiente e alla sicurezza alimentare che si è affermato e ha permesso all’Italia di conquistare la leadership in Europa”, ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini, “a cambiare è stato anche il modello di consumo che si è arricchito dei valori della eticità, della sostenibilità, della qualità e della sicurezza”. Il cibo -ha precisato Marini- per il produttore non è più solo costo e per il consumatore non è più solo prezzo. Una svolta che è stato sostenuta anche dalla Riforma della Politica Agricola europea che dovrà presto affrontare nuovi e decisi cambiamenti.

Dall’emergenza mucca pazza è emersa dunque -evidenzia la Coldiretti- un’agricoltura rigenerata attenta alla qualità delle produzioni, alla salute, all’ambiente e alla tutela della biodiversità come dimostra il fatto che, dopo aver rischiato l’estinzione, si è verificato un aumento record del 39 per cento negli ultimi dieci anni degli esemplari di bovini appartenenti alle cinque storiche razze italiane con la presenza sul territorio nazionale di 147mila animali iscritti al libro genealogico allevati in 5.366 stalle italiane. Di fatto la mucca pazza ha determinato un deciso cambiamento dell’allevamento italiano e «salvato dall’estinzione» l’intero patrimonio di razze bovine Made in Italy, come la maestosa chianina che ha avuto il più elevato tasso di crescita e può ora contare su 46.553 esemplari, ma anche la romagnola (15.416 animali), la marchigiana (52.344), la podolica (23.370) e la maremmana (9.212) il cui numero era sceso progressivamente fino al 2000 in tutta la penisola.

La decisa svolta nei consumi e nella produzione verso sistemi di produzione più sostenibili è confermato dal fatto -sostiene la Coldiretti- che il fatturato dei prodotti biologici in dieci anni è triplicato passando da meno di un miliardo di euro del 2000 agli oltre tre miliardi di euro attuali mentre si è più che dimezzata la presenza di residui chimici nella frutta e verdura, con i campioni di frutta e ortaggi irregolari che sono scesi dal 2 per cento del 2000 ad appena lo 0,8 per cento attuali, rispetto alla media del 3,5 per cento a livello europeo secondo il rapporto sul ‘Controllo ufficiale dei residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetalè del ministero della Salute. Un risultato sostenuto da un sistema nazionale di controllo da primato con oltre un milione tra le verifiche e le ispezioni effettuate sul Made in Italy alimentare nel 2010, secondo la Coldiretti, tra Agenzie delle Dogane, Nas dei Carabinieri, Istituto Controllo Qualità, Capitanerie di Porto, Corpo Forestale e Carabinieri delle Politiche Agricole, Asl, ai quali si aggiunge l’attività degli organismi privati.

Con l’emergenza mucca pazza è anche iniziato in Italia un percorso, sostenuto dalla Coldiretti, per garantire la rintracciabilità delle produzioni dal campo alla tavola con un adeguato sistema di etichettatura di origine che ha portato, in dieci anni, all’obbligo di indicare la provenienza dal 1 gennaio 2002 per la carne bovina, all’arrivo dal primo gennaio 2004 del codice di identificazione per le uova, all’obbligo di indicare in etichetta, a partire dal primo agosto 2004, il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, dall’obbligo scattato il 7 giugno 2005 di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco, all’etichetta del pollo Made in Italy dal 17 ottobre 2005, all’etichettatura di origine per la passata di pomodoro a partire dal 1 gennaio 2008 che è divenuta obbligatoria anche per l’extravergine di oliva dal 1 luglio 2009.

A oggi tuttavia -precisa la Coldiretti- circa la metà della spesa resta anonima in attesa dell’attuazione della legge nazionale sull’obbligo di indicare l’origine in etichetta, approvata il 18 gennaio 2001, che prevede l’emanazione di decreti per i singoli prodotti ancora mancanti.L’esperienza ‘mucca pazzà provocata dagli effetti dell’uso delle farine animali nell’alimentazione del bestiame, a lungo suggerito dal mondo scientifico, ha anche rappresentato -conclude la Coldiretti- un precedente importante per l’attuazione del principio della precauzione nell’introduzione di nuove tecnologie nell’ambito alimentare che di fatto ha contribuito ad evitare contaminazioni da Ogm (Organismi Geneticamente Modificati) nell’agricoltura italiana.