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PIANO CASA: COME SAREBBE BELLO SE…

19 marzo 2009 0 commenti
foto di G. Marcoaldi

foto di G. Marcoaldi

Guardando la bruttezza di certe nostre periferie e il degrado di alcune aree metropolitane chiunque, anche solo intuitivamente, capisce che molto si potrebbe e di dovrebbe fare. Il problema economico blocca però ogni possibilità d’intervento. Se però gli interventi venissero finanziati dal plusvalore che l’immobile potrebbe ottenere (anche attraverso un aumento di cubatura), allora questi potrebbero non solo essere possibili ma addirittura convenienti.

Se il cosiddetto piano casa del Governo fosse dunque limitato al risanamento, alla riqualificazione, alla messa in efficienza e alla creazione di servizi delle periferie urbane e metropolitane, molti scenari interessanti potrebbero aprirsi. Se, al contrario, il piano apre, come già abbiamo detto, a forme di condono improprio e a nuova occupazione di suolo – se non ad uno stravolgimento della normativa urbanistica – allora la questione assume un ben diverso profilo certamente più grave e preoccupante.

Provando a immaginare una via possibile si può ipotizzare un’azione di Governo che, di concerto con le Regioni e senza toccare le norme generali di garanzia e controllo che regolamentano il settore edilizio, fissi i paletti per una vera e propria rivoluzione delle periferie. Immaginiamo che si consenta di abbattere e ricostruire (sulla stessa area), oppure consolidare e restaurare l’esistente, non solo al fine di avere il massimo dell’efficienza energetica degli stabili, ma anche per realizzare posteggi sotterranei e, solo se rispettate queste condizioni, autorizzare la possibilità di nuove (limitate) cubature in termini di sopraelevazione. Immaginiamo che le cubature aggiuntive potrebbero essere ulteriormente implementate (in forma sempre attenta e limitata) se, anziché l’intervento su un singolo palazzo, si ipotizza un intervento su un comprensorio la cui ricostruzione potrebbe portare anche servizi e spazi verdi attrezzati.

Quest’ipotesi, certo da articolare meglio, innescherebbe un processo positivo si restauro e di messa in efficienza capace di migliorare la qualità della vita dei cittadini e in grado di garantire forme occupazionali nel settore dell’edilizia più lunghe e più sicure (meno lavoro in nero) che non quelle che si produrrebbero con l’indistinto aumento del 20% delle cubature delle villette. Inoltre consentirebbe di evitare sia l’effetto condono indiretto (vedi altro intervento sempre su questo blog), sia l’aumento del consumo di nuovo suolo agricolo o comunque libero; conseguentemente impedirebbe un’ulteriore estensione delle aree urbane con l’effetto di un ingigantimento delle periferie. Bloccherebbe inoltre le speculazioni fondiarie inevitabili se si consentisse di abbattere e costruire altrove con aumento di cubature. E ancora coinvolgerebbe pienamente gli Enti locali nella programmazione degli interventi, creando forme virtuose per una nuova architettura finalmente chiamata a superare la “cultura palazzinara” che ha caratterizzato la crescita di buona parte delle nostre città.

Evitando di mettere mano a quell’edilizia popolare che comunque ha un connotato storico (indicativamente penso a quella antecedente agli anni ’60), se si limitassero i nuovi interventi, anche in modo premiale, alle periferie del contesto metropolitano consolidato, credo che si otterrebbe un larghissimo consenso culturale e tecnico. Se invece, come sempre di più appare, ci si intestardisce a usare il tema della messa in efficienza degli edifici come cavallo di troia per nuova occupazione di suolo o, addirittura, per creare procedure che rischiano di far esplodere il settore edilizio senza alcuna possibilità di controllo reale, allora tutti saremo chiamati a prendere una qualche iniziativa e a far sentire la voce del buon senso che deve esistere al di là di ogni convincimento politico.