Italia: già più di 3,5 milioni di ettari invasi dal cemento
In Italia l’occupazione di territorio libero da parte di infrastrutture viarie e insediamenti umani è cresciuto esponenzialmente, consumando così una risorsa fondamentale ed irrinunciabile: il territorio. Va poi considerato che la maggior parte delle forme di consumo del suolo sono irreversibili e che ci sono ambienti che hanno più di altri subito l’occupazione del cemento: le pianure, le coste e le aree agricole. Secondo i censimenti agricoli del 1950 e del 2005 mancano oggi all’appello più di 3,5 milioni di ettari di superficie libera: un territorio più grande dell’Abruzzo e del Lazio messi insieme.
Una ricerca dell’Università dell’Aquila, commissionata dal WWF e coordinata dal Prof. Bernardino Romano, ha evidenziato e misurato la cosiddetta “interferenza eco sistemica” delle aree urbanizzate e del sistema infrastrutturale. In poche parole ha valutato quanto l’occupazione di strutture ed infrastrutture abbia alterato il nostro ambiente. Per fare questo tutta l’Italia è stata suddivisa in “Unità di Paesaggio”, cioè porzioni di territorio omogenee, per ciascuna di queste è stata analizzata la frammentazione del territorio prodotta dalle varie costruzioni. La ricerca ha così prodotto tre Carte analitiche: la Carta della dispersione insediativa (intesa come numero di nuclei insediativi per unità di paesaggio), la Carta della densità di dispersione insediativa (intesa come rapporto tra numero di nuclei insediativi e superficie dell’unità di paesaggio) e la Carta della densità urbana (intesa come rapporto tra la superficie di territorio urbanizzato e la superficie totale dell’unità di paesaggio). I dati emersi sono clamorosi ma in particolare da quest’ultima carta si evidenzia l’immagine più chiara di quale sia la situazione del nostro territorio, molte sono infatti le unità di paesaggio che hanno oltre il 75% della superficie urbanizzata. Se si pensa che quando un territorio ha oltre il 10% del territorio occupato scientificamente gli esperti ritengono già potenzialmente compromessa la sua capacità di ospitare valori di biodiversità significativi.
Nei secoli precedenti la crescita delle città era unicamente collegata alla crescita della popolazione urbana. Al contrario oggi con una crescita demografica ridotta, l’urbanizzazione è un fattore fuori controllo guidata dal benessere (come ad esempio l’uso delle seconde case) e dalle logiche d’investimento. Ma in un Paese come l’Italia non si può certo costruire dappertutto. Basti pensare alle montagne, alle superfici d’acqua o alle zone umide, alle aree critiche o impervie. Si continua a costruire nelle pianure, nelle aree agricole, sulle colline, sulle coste. E queste sono sature, e quando non lo sono il territorio è preziosissimo perché sopravvissuto alla speculazione, perché memoria di quei luoghi, perché paesaggio e natura che nonostante tutta resistono ed hanno valore. Un nuovo boom edilizio (ma è mai cessato il boom edilizio in Italia?) mette a rischio innanzi tutto questi luoghi, ma per alcuni evidentemente gli oltre 3,5 milioni di ettari già bruciati non bastano.