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Piano casa – Sarà un’Italia modello Milano Due?

27 marzo 2009 0 commenti

foto Canon/WWF di Martin Harvey

 Le parole del Presidente del Consiglio dei Ministri (per come riportate dalle agenzie e dai giornali) non lasciano sperare bene. Gli argomenti ricorrenti sono sostanzialmente due: il provvedimento del Governo deve essere un decreto legge, il provvedimento deve riguardare il 50% delle case e deve creare città nuove di grande qualità. Alcuni commentatori hanno voluto vedere in queste affermazioni una diffusione del modello di “Milano Due”, cioè del quartiere residenziale costruito dal Berlusconi imprenditore, non ancora Presidente.

L’idea dei quartieri residenziali satellite non è nuova. Nasce poco dopo l’abbuffata metropolitana degli anni sessanta e settanta, si fonda sull’idea di conciliare grandi spazi aperti, qualità della vita nel privato e vita metropolitana. Si pensi a quartieri come Casal Palocco (citato anche da Moretti in Caro Diario) o l’Olgiata a Roma, o San Siro prima ancora di Milano Due a Milano appunto. Si pensi a come in molte città alcuni quartieri siano stati chiamati “città giardino” per indicare la città nella città, per dare il senso di una dimensione autosufficiente caratterizzata dal verde, quindi da un fondamentale elemento di vivibilità, che però era collegato alla città vera e propria. La dinamica costruttiva di alcuni di questi quartieri (ma non solo) si basava su un principio di rivalutazione fondiaria programmato. Si prende un’area un po’ distante e non limitrofa alla città, quindi con un valore inferiore, la si costruisce con modelli di qualità e servizi elevati al fine di invogliare la gente ad andarvi, automaticamente le aree libere intercluse tra la città e il nuovo quartiere aumentano il loro “interesse urbanistico” perché sono potenzialmente di completamento e quindi nella sempre costante trasformazione urbana sono soggette ad un esponenziale aumento del valore fondiario. I grandi affari sono stati fatti con l’acquisizione di aree inedificabili su cui poi si sono ottenute le licenze, o con l’acquisto di aree edificabili su cui successivamente si è ottenuto un indice di cubatura superiore. Con grande onestà intellettuale dobbiamo dirci che la pianificazione urbana, soprattutto nelle grandi città, è stata governata più dagli interessi degli immobiliaristi che non da quelli dei cittadini.

L’idea di un piano casa che rilanci l’espansione urbana non spaventa però per le ennesime speculazioni fondiarie che si aprirebbero, ma per la nuova occupazione si suolo (prevalentemente agricolo) che produrrebbe. È certamente vero che in Italia si è costruito male, ma è altrettanto vero che si è costruito troppo ed in modo eccessivamente sparso. Occorre ridisegnare le città, contenerle, migliorarle, occorre evitare l’effetto macchia che si allarga, o metastasi che avanza, occorre dare una soluzione di continuità tra un paese ed un altro, tra una città ed il paese vicino; non tutto può diventare un’immensa aerea metropolitana che tutto inghiotte. E comunque se questa è la tendenza non può essere incentivata con un provvedimento d’urgenza dello Stato, ma guidata e governata dagli Enti che hanno competenze territoriali.

Il provvedimento del Governo potrebbe essere un’opportunità, ma allo stesso tempo potrebbe aprire allo scempio. Personalmente rimango dell’idea già espressa, cioè quella di trasformare il Piano casa in un piano periferie e su questo trovare un accordo trasversale per ridisegnare le nostre aree metropolitane. Altrimenti rischiamo che, per motivi facilmente intuibili, la sommatoria delle varie Milano Due che un po’ ovunque si potrebbero realizzare, produrrebbe una sorta di Italia Due che nessuno dichiara di volere ma che nei fatti rischia di realizzarsi.