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A quando una “Giornata della Terra” fatta di azioni e non di proclami?

22 aprile 2009 0 commenti
175 Paesi nel mondo oggi festeggiano la Giornata della Terra. Molti gli spunti di riflessione che emergono a tutto campo dai temi della sostenibilità a quelli più strettamente connessi alla conservazione e tutela di specie ed habitat. Noi, dal canto nostro, con estremo realismo vogliamo far vedere come nella pratica, tutti i giorni, viene disatteso quel senso di rispetto e attenzione che viene ovunque oggi richiamato dal G8 Ambiente di Siracusa alle scuole di mezzo pianeta, dai concerti celebrativi come quello di Ben Harper a Roma sino alle mille iniziative poste in essere da Associazioni e Istituzioni. In modo molto semplice vale la pena sottolineare che la prima base del rispetto è l’accettazione del “diverso” da noi; questo concetto trasposto in termini ambientali significa un approccio meno presuntuoso rispetto alla natura. Insomma la rinuncia a quell’atteggiamento che troppo spesso ci fa apparire come padroni del mondo e che ci induce a credere che tutto possa essere governabile e gestibile.

Il nostro Paese è stato ripetutamente vittima di questo atteggiamento, e con esso sono state vittime tutti coloro che per errori o sottovalutazioni hanno subito disastri che si potevano evitare, prevenire. Il tema della “natura cattiva”, “maligna” o “matrigna” a seconda delle situazioni, seppur non più espresso in modo così esplicito, sottende molte considerazioni che ancora si fanno di fronte a fenomeni che null’altro sono che fenomeni naturali. La catastrofe non è data dal fiume che esonda, dalla frana che smotta, né addirittura dal terremoto; la catastrofe è costituita dalla casa costruita nell’area dove il fiume dovrebbe naturalmente espandersi in caso di esondazione, o alle pendici di un monte geologicamente instabile, o senza i necessari requisiti antisismici. “Si muore non per il terremoto, ma per la casa che addosso ti crolla” ha efficacemente il geologo Mario Tozzi in occasione della Festa delle Oasi del WWF. Sarà anche banale, ma è una semplice verità che continuiamo ad ignorare.

Aumentare la difesa di una sponda fluviale significa, solitamente, rafforzare un muraglione rendendolo più alto o più resistente. Pochi sanno che spesse volte a questo corrisponde un cambio dell’indice di rischio delle aree retrostanti quel muraglione e, conseguentemente, anche un cambio di destinazione di uso. Insomma le aree agricole di cui il fiume deve potersi riappropriare in caso di piena, diventano così edificabili. Il rischio viene spostato, non certo risolto. E’ solo un esempio, ma con questo sistema in Italia abbiamo costruito gli antichi letti dei fiumi, le foci, le aree che la natura ha appositamente “creato” per rallentare e dissipare la corsa dell’acqua. Il rispetto della terra vorrebbe oggi, soprattutto nel nostro Paese, una grande operazione di liberazione di tutto ciò che impropriamente è stato realizzato con la presunzione di poter prevedere e controllare gli eventi naturali. Si pensi alle fiumare del nostro sud all’interno delle quali sorgono strutture di ogni tipo, addirittura alcune di queste pubbliche, oltre che un numero infinito di abusi.

Hartmut JUNGIUS / WWF-Canon

Hartmut JUNGIUS / WWF-Canon