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L’emergenza Po ci ricorda quanto lontani siamo dalla strada giusta

30 aprile 2009 0 commenti
© Joerg Hartmann / WWF-Germany

© Joerg Hartmann / WWF-Germany

Con la piena del Po che ha colpito Piacenza, il ponte crollato, la situazione di emergenza che si è creata, il disastro è stato sfiorato. Certo qualcuno dirà che il problema è dovuto alla scarsa manutenzione di quel ponte, altri parleranno di pioggia eccezionale, altri ancora di concomitanza di fattori. La verità è che basta poco e la fragilità del nostro territorio viene ogni volta fuori.I cambiamenti climatici sono una realtà e l’imprevedibilità delle piogge, anche destramente violente, è cosa ormai risaputa. Conseguentemente sono in crisi molti parametri dell’ingegneria idraulica che hanno determinato sino ad ora gli interventi di gestione fluviale. Sempre più spesso si parla di “adattamento”, cioè della capacità del territorio di assorbire gli eventi estremi, e sempre più spesso si richiamano le istituzioni preposte a restituire naturalità a quei sistemi ambientali (come i fiumi) che sono stati compressi ed ingabbiati da troppo cemento.

Al di là delle dichiarazioni di principio, la gestione complessiva del Po è in crisi da molto tempo. Vari sono i progetti e interventi di cui si parla, ma quello maggiormente temuto prevede la “bacinizzazione” a supporto della navigazione commerciale. Un’idea che aleggia da molti anni, che prevede profondi ed ulteriori interventi di artificializzazione del Po, un’idea su cui oggi si tenta un’accelerazione andando contro ogni logica che, come abbiamo detto, dovrebbe portare ad un aumento e non già ad una sottrazione di naturalità. Dietro tutto ciò ci sono interessi economici importanti che condizionano le scelte a scapito non solo della tutela ambientale, ma anche della sicurezza.

Ha dunque perfettamente ragione il WWF a sostenere che in Italia si sta andando avanti con un’ottica di fine ‘800, mentre in tutta Europa (sulla Loira in Francia, sul Lech o la Drava in Austria, sul Reno in Germania) si stanno realizzando da anni progetti per la riqualificazione e rinaturazione dei fiumi per garantire la sicurezza idraulica, la tutela e valorizzazione del paesaggio. E la cosa più clamorosa sta nel fatto che, sempre a differenza del nostro Paese, questi progetti sempre in collaborazione con industriali, agricoltori, ambientalisti, mondo scientifico, soggetti che condividono metodi e finalità nel nome di un interesse generale e pubblico

I progetti di tutela e salvaguardia scompaiono nei meandri istituzionali. E’ il caso del Progetto Valle del fiume Po che prevedeva un investimento di 180 milioni di euro e molteplici interventi di riqualificazione. Il tutto in un quadro difficilissimo di riforma del sistema di gestioni dei bacini che, come indicato dall’Unione Europea, dovrebbe consentire una gestione più organica e coerente dei corsi d’acqua e dei territori di loro pertinenza. Così mentre da un lato si depotenziano le autorità di bacino, dall’altro sono ormai clamorosi i ritardi sull’applicazione delle nuove norme comunitarie. Questo è dunque il momento migliore per ritirare fuori dal cassetto vecchi progetti di speculazione cercando di farli passare nella distrazione istituzionale giocando sullo spezzatino delle competenze che non trovano più momento di sintesi nelle Autorità di Bacino.
E sebbene l’Italia stia cercando, ultima in Europa, di fare in fretta e furia i Piani di gestione di bacino idrografico, previsto dalla Direttiva Quadro acque 2000/60/CE, la sensazione che si ha che questo non si faccia per migliorare la gestione del territorio e delle acque, ma solo per non incorrere nelle sanzioni pecuniare e nel blocco dei contributi europei.