Messina impone a tutti noi l’obbligo di ripensare le vere priorità del Paese
Riprendo dopo mesi questo blog. Chiedo scusa ma succede di perdersi o meglio, succede di non avere voglia di commentare quanto accade. E in questi mesi è davvero accaduto di tutto. Succede che finisce per prevalere un senso di fastidio che magari ti porta a fare meglio il tuo lavoro, quasi come forma di testimonianza (di resistenza?), ma che non sempre però fa scattare quel meccanismo che ti induce a rendere pubblici i tuoi pensieri, le tue riflessioni. Al di là di coloro che hanno insistito perché riprendessi il filo di “Benedetto Paese” (e davvero li ringrazio), la molla è scattata con l’alluvione di Messina; in particolare è scattata con i funerali di Stato che si sono svolti a Messina, funerali che hanno salutato vittime innocenti di uno scempio che drammaticamente vede i responsabili principali proprio nelle Istituzioni che erano in prima fila. Attenzione: nelle Istituzioni prima ancora che nelle persone che oggi le rappresentano poiché il dramma del dissesto idrogeologico è frutto di decenni di incuria che ha attraversato maggioranze politiche di tutti i colori oltre che Istituzioni di tutti i livelli.
I funerali di Stato per le vittime del disastro di Giampilieri e di Scaletta Zanclea se dunque erano un atto dovuto, devono richiamare ed obbligare tutti ad una diversa coerenza rispetto alle scelte che le Istituzioni pongono in essere altrimenti le lacrime di oggi, come purtroppo quelle di ieri, sono e saranno lacrime di coccodrillo.
La memoria in molti di noi cancella quei morti che ieri, al pari di oggi, abbiamo pianto. L’elenco potrebbe essere lungo, lunghissimo: le 84 vittime del Polesine del 1951 o le 35 dell’alluvione di Firenze del 1966, o più di recente, le 268 persone scomparse nel 1985 in Val di Stava, le 70 dell’alluvione del Piemonte del 1994, le 160 di Sarno nel 1998, le 13 di Soverato del 2000… I nomi di questi luoghi ci evocano situazioni che immediatamente ricordiamo, ma la “litania” dei morti è infinita, fatta anche di centinaia e centinaia di piccole situazioni letteralmente passate nel dimenticatoio. Chi ricorda più, sempre ad esempio, le 4 vittime di Bivona in Calabria? Eppure era solo il 2006. Sono molti, troppi, i casi come quello del bambino e la nonna annegati nel 1992 a Genova per lo straripamento del torrente Bisagno. Un calcolo fatto all’APAT (oggi ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) stima che negli ultimi 80 anni il nostro Paese sia stato coinvolto in 5.400 alluvioni e 11.000 frane e smottamenti. E a parte i morti, i feriti, gli sfollati, i danni valutati sono immensi. Sempre l’APAT ha stimato (nel 2004) che negli ultimi 20 anni siano stati spesi circa 15 miliardi di euro per gli interventi di post-emergenza.
Secondo quanto dichiarato dal Ministro dei Lavori Pubblici Altero Matteoli, il costo per gli interventi relativi al solo assetto idrogeologico (cioè relativo alle aree perimetrate, con diverso grado di rischio, nei 5.581 comuni che hanno documentato la presenza di aree interessate da fenomeni franosi o alluvionali) è di circa 35 miliardi di euro. Una cifra certamente enorme, ma si tratta però di una cifra che andrebbe ovviamente erogata in un tempo medio-lungo, quindi forse preventivabile. Vi sono poi interventi a costo zero o quasi. Non costa soldi infatti prevedere l’inedificabilità assoluta delle aree di pertinenza fluviale, né costerebbe moltissimo affidare alle autorità di bacino il compito di stabilire le aree programmate per le esondazioni in caso di piena. Certo occorrerebbe contenere gli appetiti edificatori dei Comuni, ma non sembra per niente scontato e la partita rischiamo di perderla in partenza. È poi vero che sono necessari interventi puntuali, e su questo indubbiamente servono risorse diverse da quelle che in via ordinaria vengono affidate al Ministero dell’Ambiente per la difesa del suolo. Bisogna allora scegliere le priorità su cui mettere le poche risorse economiche del Paese.
Chi ha visto la straordinaria inchiesta sull’alta velocità ferroviaria realizzata da Alessandro Scirotino e messa in onda il 4 ottobre da Riccardo Iacona nella trasmissione di RAI 3 Presa Diretta http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8724eee0-fc39-43a7-9629-74b3df8f3a56.html?p=0) ha scoperto che questa in Italia dal 1992 è costata, interamente a carico dei contribuenti, una cifra analoga a quella necessaria per la messa in sicurezza del Paese.
E che dire poi del Ponte sullo Stretto? Molti e tutti documentati i motivi per cui questa opera non si deve fare. E certo fa pensare che gli unici soldi veri ad oggi disponibili sono 1,3 miliardi di euro che vengono dall’Europa (fondi FAS) destinati al Mezzogiorno e altrimenti spendibili. Insomma, abbiamo oltre un miliardo di euro che non si vuole utlizzare per mettere in sicurezza fiumare e città che su queste sono state scelleratamente costruite, come Messina e Reggio Calabria. E intanto, giusto per aggiungere un’annotazione tutt’altro che di colore, Messina continua ad avere il proprio ospedale civile non in regola sotto il profilo antisismico.
Restituiamo il senso di priorità alle cose, oggi più che mai. I cambiamenti climatici in atto hanno fatto sballare ogni calcolo di previsione idraulica sulle portate dei fiumi poiché la quantità di pioggia che cade in un dato spazio-emporale è diventata imprevedibile. Occorre restituire dunque al nostro territorio la capacità di reggere agli eventi estremi, di “adattarsi” a questi, restituire naturalità e dunque flessibilità. Questa è l’opera pubblica primaria che dovrebbe essere programmata e posta in essere.