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Sardegna: lo scempio è servito. Approvato un piano casa “libera cemento”

22 ottobre 2009 0 commenti

“Disposizioni straordinarie per il sostegno dell’economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo”: così si chiama il nuovo scempio edilizio delle coste sarde. Infatti, come preannunciato anche in questo stesso blog (il 12 giugno) la Regione Sardegna ha approvato venerdì 16 ottobre il cosiddetto piano casa dentro cui si annidano rischi di cementificazione che sono ben più che potenziali (vedi la legge nel file qui allegato).

Si prevede che il nuovo provvedimento porterà l’apertura in Sardegna di circa 40.000 cantieri per opere che possono ricadere anche entro la fascia dei 300 metri dal mare. Considerato che le coste della Sardegna hanno da sempre suscitato l’attenzione di speculatori senza scrupoli, è facile immaginare quali potrebbero essere i risultati di questa “operazione”, anche perché si prevedono ampliamenti con aumenti volumetrici dal 10 al 45% (differenziati a seconda della localizzazione, della funzione d’uso, e dell’efficienza energetica). Per non dire poi che nella gran parte dei casi basterà una semplice Dichiarazione di Inizio Attività (DIA) per avviare i lavori ed aprire i cantieri.  E certo molti confideranno anche sul fatto che sarà molto difficile verificare se i cantieri che verranno aperti saranno in regola con le norme urbanistiche e paesaggistiche vigenti, perché la Regione non dispone di personale sufficiente a garantire il controllo su un numero così elevato di cantieri.

Giustamente il WWF, che ha seguito con ripetuti interventi tutto l’iter della legge regionale, teme che questo sedicente Piano Casa possa avere conseguenze nefaste soprattutto sul piano turistico, con effetti contrari anche rispetto a quelli previsti dalle stesse persone che lo hanno voluto. Questo settore, fondamentale per l’economia sarda, si fonda infatti sulla bellezza e sull’integrità di buona parte degli ambienti naturali, che con l’alterazione dei paesaggi costieri verranno irrimediabilmente compromesse.

Già dal primo articolo si comprende come le norme non siano solo relative ad un “Piano Casa” di carattere straordinario, bensì introducano una parziale riforma urbanistica che va a toccare soprattutto l’edificabilità delle fasce costiere ed i contenuti attuativi del nuovo Piano Paesaggistico (soprattutto nelle more del suo recepimento da parte degli strumenti urbanistici comunali). La legge consente gli ampliamenti in via definitiva, sono cioè attuabili sempre, indipendentemente da una scadenza temporale, mentre invece in base all’intesa Stato/Regioni dell’1/4/2009 le leggi regionali avrebbero dovuto avere carattere di “straordinarietà” con un termine di efficacia non superiore a 18 mesi (“salvo diverse determinazioni delle singole Regioni” che certo però non può essere inteso come un “sine die”, cioè un senza termine). A titolo di confronto, ad esempio, la legge della Liguria (regione interamente affacciata sul mare)  riconosce espressamente il suo “carattere straordinario”, e stabilisce la sua validità in 24 mesi dall’entrata in vigore.

Ma c’è di più, e (se possibile) di ben più grave. Non viene infatti specificata la volumetria massima degli “edifici esistenti” da ampliare (nonché da demolire e ricostruire secondo criteri di efficienza energetica). Di conseguenza potrebbero essere ampliati, modificati o ricostruiti anche edifici enormi, e non solo di uso residenziale. Questo è un altro elemento in contrasto con l’intesa Stato/Regioni secondo cui le leggi regionali avrebbero dovuto regolamentare ampliamenti dal 20 al 35% di edifici esistenti “uni/bifamiliari” di un volume non eccedente i 1.000 metri cubi; l’incremento massimo ammissibile sarebbe stato di 200 metri cubi (350 in caso di messa in efficienza energetica dell’intero edificio). Pur considerando che l’intesa fa “salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica” anche in questo caso si è di fronte non ad un aumento di volumi che non pur fissato in termini percentuali non ha riferimenti quantitativi certi e, quindi,è indefinito ed indefinibile. Per sottolineare la scelleratezza della norma sarda prendiamo ancora ad esempio la legge della Liguria che ha rispettato il “tetto” di 1.000 metri cubi per gli ampliamenti, oltretutto differenziando i volumi realizzabili in rapporto con quelli originari dell’edificio; inoltre la legge ligure  stabilisce per ogni tipo di intervento la condizione che l’edificio sia esistente e completo alla data del 30/6/2009, mentre invece quello sardo dispone che “per volumetria esistente si intende quella realizzata alla data di presentazione della denuncia d’inizio attività”; pare evidente che la quasi-coincidenza tra la data di realizzazione dell’edificio “esistente” e la possibilità di iniziare i lavori potrà in molti casi dare spazio a falsificazioni e “trucchi” difficilmente riscontrabili. È facile prevedere che  per “edifici esistenti” alcuni tenteranno di spacciare ogni tipo di manufatto magari costruito qualche giorno prima.

Facile prevedere che in risposta a queste osservazioni qualcuno possa rilevare che la legge sarda parla esplicitamente di  “tipologie edilizie uni-bifamiliari”, ma attenzione al cavillo: a parte quanto già detto sulla mancanza di cubature di riferimento rispetto a cui porre un limite volumetrico massimo degli ampliamenti, la legge cita testualmente che gli edifici da ampliare possono avere  “diversi piani”, possono essere di  “tipologie edilizie pluripiano” e di “proprietà frazionata”. Ed ancora: gli aumenti di volumetria sono consentiti per “i fabbricati ad uso residenziale” e per quelli “destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive”.

In questo quadro opaco, privo di punti di riferimento certi, appare poca cosa il tentativo di porre argine agli ampliamenti degli immobili entro i 2000 metri dal mare dove si riduce del  30% l’incremento volumetrico ammesso (ulteriormente ridotto ad un aumento massimo del 10% per gli edifici ricadenti entro i 300 metri dal mare o, nel caso delle piccole isole, entro i 150). Ricordiamo sempre che le procedure consentono che la gran parte degli interventi possono essere attuati con la sola Dichiarazione di Inizio Attività, quindi con una enorme difficoltà di verifica e controllo. Se consideriamo poi che nel caso delle “tipologie edilizie uni-bifamiliari gli adeguamenti ed incrementi possono avvenire mediante la realizzazione di nuovi corpi di fabbrica” anche  in “corpo di fabbrica separati dal fabbricato principale”, ci rendiamo conto di quanto quello che si potrebbe produrre è addirittura un condono edilizio mascherato.

Molte, moltissime altre cose potrebbero dirsi sulle nuove norme della Sardegna. Viene svuotato il senso della legge salva-coste fortemente voluta dall’ex Presidente Renato Soru (legge eccepita in Corte Costituzionale e giudicata legittima  contro le opposizioni sollevate da alcuni Comuni e non solo), ma non solo. Le norme riguardano l’intero territorio regionale e addirittura vengono abrogate le norme che nel 2004 erano state poste a tutela delle aree boscate. Un delirio.

Questa situazione è gravissima, intacca una meraviglia universalmente riconosciuta qual è la Sardegna. Forse il Ministro Bondi ed il Ministro Prestigiacomo farebbero bene a dedicare un po’ del loro tempo ad analizzare questa legge, forse lo Stato (che ha competenza esclusiva in tema di tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e dei beni culturali) dovrebbe far sentire la propria voce, E sarebbe bene che lo facesse con fermezza e in modo tempestivo.