Home » Gaetano Benedetto » biodiversità »

A Pianosa e Asinara il carcere ci sarebbe potuto stare, ma…

6 novembre 2009 0 commenti

Il Ministro della Giustizia Alfano rilancia l’ipotesi di riaprire i carceri di Asinara e Pianosa, o meglio di riaprire le sezioni di massima sicurezza che all’interno di quei carceri erano operative (Fornelli ad Asinara e Marco Agrippa a Pianosa). Questo è certamente incompatibile con il senso stesso di un’area protetta. Una sezione di massima sicurezza porta infatti con se una serie di procedure in aperto contrasto non solo con le più semplici esigenze di fruizione, ma anche con elementari criteri di gestione territoriali (luci intense anche di notte, recinzioni concentriche, e addirittura l’eliminazione di vegetazione circostante che possa consentire di nascondersi o celarsi).
L’idea però di mantenere su quelle isole una forma di carcere aperto che addirittura fosse in grado di gestire il parco, sotto evidentemente la guida di un Ente preposto, fu in passato sostenuta dal WWF, idea che alla luce dell’esperienza e di quanto successo risulta oggi ancor più convincente anche se è ora sostanzialmente impossibile pensare di tornare indietro.

Poco prima dell’istituzione degli Enti Parco dell’Asinara e dell’Arcipelago Toscano un’apposita norma decretò la chiusura delle carceri che da secoli erano operanti sulle isole di Asinara e Pianosa. Fu il risultato di una battaglia civile che portò all’attenzione dell’opinione pubblica le drammatiche condizione di detenzione delle famigerate sezioni di massima sicurezza dove erano passati non solo i detenuti di mafia ma anche quelli accusati dei reati di terrorismo. Intorno a queste sezioni però sia a Pianosa che ad Asinara il carcere gestiva colonie agricole, dove erano impiegati altri detenuti con reati e pene minori che si adoperavano non solo nella coltivazione dei campi, ma anche nell’allevamento e nella trasformazione dei prodotti con particolare riguardo alle attività casearie. Insomma accanto all’inferno della massima sicurezza, c’era una realtà molto particolare che il WWF ritenne potesse essere sviluppata e migliorata consentendo una migliore gestione di quei paradisi naturali. Da qui la proposta.

In una serie di incontri con l’allora Direttore Generale degli Istituti di Pena, Dott. Nicolò Amato, il WWF presentò un vero e proprio progetto di gestione per le isole carcerarie. Cuore del progetto era l’eliminazione delle sezioni di massima sicurezza e una gestione garantita da detenuti a bassa pericolosità che, in regime di semilibertà, dopo un’apposita formazione si facessero garanti della gestione di tutti i servi di un parco e di tutte le attività a questi connesse. Insomma un parco che avrebbe consentito visite solo giornaliere (o in modo molto contenuto soggiorni limitati), ma certamente un parco che valorizzava la peculiarità storica della permanenza delle carceri su quel territorio e che esaltava le caratteristiche agro pastorali di quelle zone. Questo per altro avrebbe garantito maggiori risorse nella gestione di quelle isole e avrebbe soprattutto evitato quella inevitabile fase di abbandono che poi si è verificata con la chiusura delle carceri.

L’idea colpì molto il Dott. Amato e non solo, trovò molti consensi, ma non decollò. In quegli anni infatti la chiusura di Asinara e Pianosa assumeva un forte valore simbolico coincidente con il superamento degli anni di piombo e alle politiche emergenziali. Fu così che le resistenze si trovarono (pur comprensibilmente) anche in una certa sinistra intellettuale che si era data come obiettivo la chiusura di questi istituti di pena e non fu disposta a trovare forme di compromesso. Il risultato immediato fu un disastro. Tolti i vincoli di navigazione intorno alle isole (imposti dai motivi di sicurezza) in poche settimane fu razziato tutto il pesce che da decenni ormai viveva indisturbato. Gli animali presenti sull’isola furono trasferiti con non pochi problemi e lentamente molte strutture precipitarono nel degrado a seguito dell’abbandono delle attività. Stazzi, stalle, ovili, caseifici, guardiani…. tutte strutture che un parco avrebbe ben utilizzato. Si istituirono gli Enti Parco, ma si sa che dal momento delle nomine a quando si diventa operativi passano anni. E così i Parchi non solo si trovarono a dover recuperare quanto era stato abbandonato, ma anche a dover fare i conti con i Comuni che subito manifestarono appetiti turistici su quelle zone.

Le cose potevano andare in un altro modo. Poteva essere fatto (come proposto dal WWF) un protocollo d’intesa tra i Ministeri dell’Ambiente e di Grazia e Giustizia oltre che con le regioni competenti. Si sarebbe potuto sperimentare un modello, non solo nell’interesse della conservazione della natura ma anche nel nome di quell’interesse sociale che vede la detenzione come finalizzata al recupero delle persone condannate. Ed oggi questo avrebbe probabilmente permesso magari di avere un migliaio di detenuti sistemati diversamente che non nelle attuali carceri sovraffollate.

Ora è probabilmente davvero troppo tardi per recuperare questo percorso. Ma come abbiamo visto questo percorso non ha mai previsto la permanenza della massima sicurezza proposta dal Ministro Alfano che forse, prima di esternare, avrebbe fatto bene a fare una telefonata (anche solo di cortesia) alla sua collega dell’Ambiente, Ministro Prestigiacomo che sulla vicenda ha detto cose giuste e condivisibili.