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Il potere sovraordinato dei Parchi. Il caso del Lago di Paola nel Parco Nazionale del Circeo

16 novembre 2009 0 commenti

LagoDiPaolaScrivo mal volentieri di una questione che mi riguarda personalmente nella mia qualità di Presidente del Parco Nazionale del Circeo, ma come tacerla?

 Quando nel 2005 è stato istituito l’Ente Parco, che quindi ha sostituito la precedente gestione che dal 1934 praticamente vedeva l’area protetta in mano al Corpo Forestale dello Stato, in attesa che si approvassero piano e regolamento si stabilì che quanto disposto dal piano territoriale paesistico assumesse la funzione di misura di salvaguardia del parco. In questo modo le norme paesaggistiche, di competenza della regione, diventavano anche norme ambientali e pertanto andavano rispettate nella loro duplice valenza. Una di queste disposizioni riguarda il divieto di navigazione sul Lago di Paola, un luogo strabiliante ai piedi del promontorio del Circeo (http://www.romafictionfest.it/var/fiction/storage/images/foto-2009/progetto-province/sabaudia2/69355-2-ita-IT/Sabaudia_shadowbox.jpg) dove dopo anni di abusivismo feroce l’azione del parco, ed ancorpiù della Magistratura, ha portato a rimuovere una darsena abusiva con centinaia di posti barca e con un’alterazione di parte delle sponde del lago oltre che di un canale romano sottoposto dal 2003 a vincolo archeologico diretto.

A fronte di questa azione puntuale del Parco c’è stata un’azione giudiziaria del Comune di Sabaudia presso il Tribunale Superiore delle Acque che ha emesso un’ordinanza che non solo non ha alcun precedente di giurisprudenza in Italia, ma che non trova neppure riscontro in dottrina. Senza entrare nel tecnicismo della materia e nella vicenda puntuale, di fatto il Tribunale attribuisce al Comune una potestà d’indirizzo in un ambito, quello del Regolamento del parco, che invece è specificatamente proprio dell’Ente gestore l’area protetta. Il Tribunale ribalta cioè la procedura di legge (che prevederebbe il parere degli Enti locali ad Regolamento già adottato dal Parco) e involontariamente pone gli interessi collettivi tutelati da un Ente statale, qual è un Parco Nazionale, quasi in modo subalterno rispetto ad altri interessi pur legittimi, Il caso rischia di creare un precedente nazionale che scardina l’impostazione normativa voluta dal legislatore in modo coerente ai principi costituzionali. Per questo la questione andrà certamente l’udienza di merito fissata per dicembre e coinvolgerà quasi certamente la Cassazione.

“Lo Stato ha legislazione esclusiva (…) sulla tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e dei beni culturali”. Così testualmente recita l’art. 117 della costituzione (comma 2/s) che specifica (comma 6) che “la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni”.

Non v’è dubbio alcuno i Parchi Nazionali si debbano occupare anche della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi; a maggior ragione quei parchi, come il Circeo, dove gli ecosistemi sono definiti e protetti sulla base di direttive dell’Unione Europea o di convenzioni internazionali. Non v’è pertanto alcun dubbio che questa sia non solo dunque una competenza statale ma, come dice la Costituzione, una competenza “esclusiva”. Questo non vuole assolutamente dire che lo Stato agisce da solo, ma semplicemente che pur nella concertazione e nel confronto con gli altri Enti (che avviene sempre secondo procedure di legge che richiamano tutti i soggetti istituzionali al principio della “leale collaborazione”) lo Stato mantiene una propria competenza diretta e responsabilità. Il perché di tutto ciò è facilmente intuibile e nasce dalla necessità garantire interessi generali e collettivi proteggendoli da alti interessi che, pur legittimi, sono di ordine puntuale o comunque locale. Su questo la Corte Costituzionale sin dagli anni ’80 si è inequivocabilmente pronunciata più volte arrivando ad affermare che l’ambiente rappresenta un “elemento determinativo della qualità della vita”, che costituisce valore “primario assoluto”, che è un “bene primario che va salvaguardato nella sua interezza” ovvero un “bene immateriale unitario”, che non è “suscettibile di essere subordinato ad altri interessi”. E anche dopo il 2001, cioè dopo la riforma del Titolo V della Costituzione che ridisegnava le Relazioni tra Stato, Regioni ed Enti Locali, la Corte Costituzionale ha confermato questa impostazione asserendo che l’ambiente non può essere considerato come una singola materia, bensì come valore trasversale costituzionalmente protetto.

In altri termini si ritrovano concetti analoghi anche in decine di sentenze della Corte di Cassazione, ma soprattutto si ritrovano in tutta la legislazione comunitaria e in una miriade di atti a questa conseguenti. Dal 1987 infatti, anno della modifica del Trattato CEE, la protezione dell’ambiente entra formalmente a far parte della politica comunitaria e addirittura nel Trattato di Maastricht si afferma a chiare lettere che la crescita dev’essere “sostenibile e rispettosa dell’ambiente”: senza dubbio alcuno da vent’anni l’Unione Europea sostiene che le politiche settoriali (industria, agricoltura, turismo ecc) devono essere attraversate dalle politiche ambientali e devono essere da queste orientate e guidate. Ma in Italia sappiamo che le cose vanno in modo diverso, ma c’è un limite a tutto.

Il Lago di Paola non solo è parte integrante del Parco Nazionale del Circeo ma, indipendentemente da questo in quanto ecosistema di straordinaria importanza è Zona di Protezione Speciale e Sito d’importanza Comunitaria ai sensi dell’Unione Europea, zona umida d’importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar, area di tutela integrale ai sensi della normativa paesaggistica regionale. A ciascuna di questi definizioni corrispondono norme e procedure tutte, davvero tutte, in capo o allo Stato o alla Regione. La tutela del Lago di Paola (e non solo) per lo Stato e per la Regione costituisce un obbligo inderogabile la possibilità di un’armonizzazione la conservazione di specie, habitat e paesaggio con altri interessi o attività, sta all’interno di un percorso che la legge traccia con esattezza. Gli strumenti si chiamano Piano del Parco e Regolamento del Parco e sono in capo ad un soggetto istituzionale che è l’Ente Parco che, seppur partecipato dagli Enti Locali tramite la Comunità del Parco e cinque membri del Consiglio Direttivo, rappresenta l’interesse pubblico e generale della tutela che è in capo allo Stato. Per questa ragione, e non per altra, la procedura di redazione di Piano e Regolamento prevede l’obbligo di consultazione, di parere e d’intesa, ma lascia questi strumenti in capo all’Ente Parco. Per questo motivo tutti i parchi in attesa che questi strumenti vengano approvati hanno misure di salvaguardia transitorie che vengono fissate o dalla legge o dagli atti istitutivi degli Enti tramite Decreto del Presidente della Repubblica. Nessuna norma prevede che le misure di salvaguardia possano essere modificate se non tramite il Regolamento che è in capo all’Ente Parco (e che per divenire vigente deve ricevere il parere degli Enti Locali competenti, l’intesa della Regione, il parere del Consiglio di Stato e la pubblicazione in Gazzetta). Non è affatto vero dunque che un Ente Parco può scriversi il Regolamento a suo piacimento poiché la legge prevede tempi e modi obbligatori per trovare, nell’ambito del lecito e del possibile, le necessarie intese con tutti gli altri Enti territoriali. E tutto ciò ha una logica poiché risponde all’impostazione costituzionale e agli obblighi internazionali che abbiamo sommariamente descritto. Si potrà discutere, dibattere, non condividere, ma finché le norme non cambiano così è.

A Sabaudia si sta vivendo un malinteso, che il Comune possa fare per il Lago di Paola un Regolamento proprio che abbia una qualche efficacia giuridica. Alcuni trarrebbero questa convinzione da una lettura superficiale dell’Ordinanza del Tribunale Superiore delle Acque che farebbe decadere alcuni atti del Presidente del Parco (per altro transitori e già superati) nel caso il Comune provvedesse ad esprimere un atto d’indirizzo per il Lago e convocasse una conferenza di servizi “onde procedere all’emanazione del regolamento”. L’ordinanza non chiarisce in nessuna parte di quale regolamento trattasi, pertanto delle due l’una: o il regolamento è l’unico previsto dalla norma, cioè quello del Parco, e pertanto la conferenza di servizi dovrà fare un atto condiviso funzionale e preventivo rispetto al Regolamento (“onde procedere” non vuol dire né emanare, né approvare, ma semplicemente andare verso qualcosa), oppure qualcuno deve dire di che regolamento trattasi e in quale norma sia previsto. Nessun tribunale infatti può riscrivere le norme, e quindi certo neppure il Tribunale Superiore delle Acque può inventarsi un regolamento che non è previsto da nessuna parte.