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La casta dei gestori degli stabilimenti balneari

25 agosto 2010 0 commenti

spiaggia[1]Nel nostro Paese l’uso degli stabilimenti si è certamente evoluto non solo cambiando la natura dell’offerta (non più solo stabilimento balneare), ma modificando le abitudine comportamentali. Fin qui tutto rientrerebbe nell’evoluzione dei costumi sociali, se nonché la modifica che gli imprenditori hanno apportato agli stabilimenti hanno contribuito decisamente ad aumentare il processo di cementificazione delle nostre spiagge creando spesso strutture rigide contrarie a molte delle concessioni rilasciate e a volte problematiche sotto il profilo ambientale quando queste vengono mantenute anche nel periodo invernale. Il tutto ovviamente molto poco considerato dai canoni di concessione demaniali che ancora sono tarati sull’affitto di ombrellone e cabine e quasi per nulla tengono conto che gli incassi degli stabilimenti sono in larga misura derivanti da attività di ristorazione o ricreazione che negli ultimi anni hanno avuto, soprattutto al centro sud, un vero e proprio boom presso gli stabilimenti balneari (basti pensare alla diffusione dell’abitudine dell’aperitivo pre serale più o meno legato ad  happy hour o ad intrattenimento musicale).

Gli stabilimenti balneari hanno registrato un vero e proprio boom negli anni 2000, basti pensare che tra il 2001 ed il 2006 gli stabilimenti balneari sono aumentati di un quarto su tutto il territorio nazionale, trend che seppur con qualche flessione in alcune regioni, non sembra essere rallentato negli anni successivi.   

In passato le concessioni venivano rilasciate su richiesta degli interessati e solo successivamente si sono incominciati a vedere i piani di utilizzo degli arenili che erano predisposti dai Comuni ed approvati dalla Regione. Anche in vigenza di questi piani, utilizzati  per razionalizzare l’esistente e a volte per legittimare situazioni illegittime,  le nuove concessioni sono state date addirittura con assegnazioni dirette. Varie le modalità che hanno giustificato queste scelte: ragioni sociali e ricreative, consorzi di albergatori distanti dal mare, associazioni apparentemente senza scopo di lucro, spiagge da assegnare ad Enti pubblici o a Forze Armate a beneficio dei rispettivi dipendenti. In queste fattispecie sono rientrate anche le assegnazioni delle cosiddette spiagge attrezzate, che non sono veri e propri stabilimenti ma spiagge dove è possibile su richiesta affittare attrezzatura balneare; si tratta di veri affari perché questi concessionari pagano molto meno degli stabilimenti avendo la possibilità di erogare servizi analoghi con minor possibilità di controllo fiscale.

Sino a non molto tempo fa le assegnazioni degli stabilimenti balneari venivano dati con atti autonomi, spesso non coerenti con la pianificazione comunale. Si trattava di atti “ad hoc” di cui, per ignoranza o per convenienza, si ignorava l’impatto ambientale, paesaggistico e sociale. Ci sono volute due chiarissime sentenze amministrative per ristabilire l’equilibrio delle cose. Prima il TAR Puglia (sentenza n. 758 del 2005) e poi il Consiglio di Stato (sentenza n. 4027 del 2005) hanno così stabilito che gli insediamenti balneari lungo la costa possono e devono avvenire esclusivamente nel pieno rispetto delle regole poste dalla pianificazione urbanistica comunale.  Cosa che dovrebbe essere scontata, ma che evidentemente non lo era.

Da poco tempo s’iniziano a vedere le aste pubbliche per l’assegnazione delle nuove concessioni o per la rassegnazione di quelle vecchie scadute. Ma il motto di tutti è “hic manebimus optime”, qui rimarremo ottimamente, talmente ottimamente da essere disposti a tutto.      

Per questo anche per i gestori degli stabilimenti balneari qualcuno ha parlato di “casta”  sia perché il meccanismo di rinnovo delle concessioni avviene pressoché in automatico, sia perché i forti guadagni  sono a vantaggio pressoché esclusivo di concessionari certamente privilegiati. Situazione talmente clamorosa che l’Unione Europea ha avuto modo di richiamare l’attenzione sul punto sostenendo correttamente che il sistema era contrario ai principi della concorrenza. Anche nel settore balneare infatti andrebbe applicata la direttiva europea Bolkenstein sulla concorrenza che vieta i rinnovi delle concessioni fatti in modo sistematico ed automatico. Immediata la protesta dei gestori balneari che hanno addirittura indetto per il 20 luglio di quest’anno una sorta di sciopero bianco offrendo lettini ed ombrelloni gratis. Lo sciopero è andato in modo discutibile, ma la posizione dei gestori che voleva  “sottolineare il ruolo positivo che il comparto balneare svolge nel turismo italiano”,  nasconde (neanche troppo bene) enormi interessi economici. Infatti il ruolo positivo degli stabilimenti rispetto al turismo italiano viene comunque garantito indipendentemente dal fatto che a gestirlo sia il Sig. Caio a cui viene garantito il rinnovo della concessione, o il Sig. Sempronio che vince la concessione magari attraverso un asta pubblica.  Ed è proprio il meccanismo delle aste pubbliche che il Sindacato Balneari contesta e per non sbagliare il Governo con la legge cosiddetta milleproroghe, ha prorogato anche le concessioni demaniali in scadenza garantendole sino al 2015 (L. 25 del 26/2/2010)

Attenzione, la questione però è diversa da come appare. Infatti nello stesso provvedimento con cui le  concessioni in scadenza vengono prorogate al 31.12.2015, si prevede che i titolari di concessioni di sei anni possono fare richiesta, in ragione degli investimenti effettuati o  di quelli che intendono fare, di una proroga ventennale.  Il tutto viene chiarito, puntualizzato e confermato  anche in una circolare interpretativa  del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Direzione Generale dei Porti (circ. n. 6105 del 6/5/20101).  Insomma, per moltissimi casi se tutto va bene se ne riparla al 2035!

Si può senz’altro dire che sull’argomento la politica ha pasticciato, ora per incapacità, ora per timore di affrontare la situazione di petto, ora per interesse, le misure degli ultimi anni sono state spesso incoerenti. Lo scorso Governo Berlusconi, nel 2003; vara un provvedimento che triplica indistintamente  i canoni di concessione; il provvedimento solleva un mare di proteste e di ricorsi. Il Governo Prodi successivamente, sostenendo che non tutte le situazioni sono uguali e che pertanto occorresse predisporre misure più eque a seconda delle situazioni, annulla il provvedimento. La rideterminazione dei canoni alla luce della legge 296/2006 ha lasciato tutti insoddisfatti ma, è da starne certi,  “a perderci” non sono stati i gestori delle aree demaniali in concessione. Oggi il Governo Berlusconi sostanzialmente nega la sua impostazione precedente e proroga le concessioni ben consapevole che il punto cardine delle tesi dei balneari è che non si cambiano i canoni delle concessioni in corso.

Certamente c’è la necessità di tempo per riflettere e condividere come applicare la direttiva Bolkenstein, ma  altrettanto certamente in questo modo si rinuncia ad incassi cospicui che avrebbero forse evitato tagli a settori delicatissimi nel nostro Paese.  Dal loro punto di vista i gestori degli stabilimenti hanno ragione a sostenere che una concessione a breve termine, o incerta nel rinnovo, impedisce la possibilità di investimenti capace di qualificare le strutture e le attrezzature di accoglienza.  Ma proprio qui sta il cardine del problema, tanto più garantite sono le concessioni tanto più pesante è l’infrastrutturazione  dell’arenile. Quello che possiamo definire “l’inghippo” sta proprio qui, nel rapporto tra durata della concessione e impianti autorizzati.