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Federalismo. Gli Enti Locali saranno costretti a cedere i beni pubblici?

8 febbraio 2011 0 commenti

images[4]Il dibattito sul Federalismo procede tra incertezze e demagogia. E’ incredibile come in Italia non ci si riesca a mettere d’accordo neppure sui numeri: conti alla mano la gran parte dei Sindaci hanno dimostrato che il Federalismo, così come impostato dal Governo,  porterà necessariamente ad un significativo aumento della tassazione locale, ipotesi questa però negata dal Ministro Tremonti e dagli esponenti della Lega.  In realtà i Comuni da qualche parte i soldi dovranno prenderli, e vista la riduzione delle entrate (vedi blog precedente) se non aumenteranno le tasse saranno costretti a “valorizzare” e cedere i propri beni, compresi quelli a loro trasferiti tramite le norme del cosiddetto Federalismo Demaniale.

Nessuno è ancora in grado di fare un bilancio dell’applicazione delle norme sul Federalismo Demaniale (decreto legislativo n. 85 del 28 maggio 2010), ma nello scenario che si sta prospettando i timori di “svendere” i beni pubblici aumentano. E’ vero che in linea teorica il decreto approvato impedisce formalmente di utilizzare i beni demaniali agli Enti Locali per fare cassa (in caso di eventuali alienazioni infatti gli introiti, tranne una percentuale del 15% che va allo Stato, dovranno essere destinati a ridurre i debiti dell’Ente Locale con il divieto di utilizzare questi fondi per la spesa corrente), ma gli escamotage possibili sono tanti, anzi la stessa legge sul Federalismo Demaniale forza sul concetto di “valorizzazione” che, com’è noto,  trova interpretazioni applicative diametralmente opposte.  “I beni trasferiti entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Provincie, delle Città Metropolitane e delle Regioni “ che possono  alienarli “solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico”. Come dire che per “valorizzare” un bene che lo Stato trasferisce ad un Ente Locale si può derogare, certamente con le procedure di legge, anche ai piani regolatori o ad altri piani urbanistici. Come dicevamo la norma si presta alle interpretazioni più varie, infatti l’Ente Locale che riceve il bene trasferito dallo Stato ne dispone “nell’interesse della collettività rappresentata” e deve favorirne “la massima valorizzazione funzionale (…) a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettività”; a tal fine l’Ente Locale può anche “indire forme di consultazione popolare”.  Ma l’interesse della collettività è il mantenimento del bene in una funzione comunque pubblica, o il guadagno che da questo bene può derivare e quindi l’utilizzo di questi fondi in altre attività o servizi? Nella pratica quello che rischia di avvenire è che gli Enti Locali daranno in concessione o   alieneranno questi beni sulla base di progetti di “valorizzazione” che stabiliranno forme di utilizzo rispetto alle quali i privati dovranno trarre guadagni non fosse che per ammortare i costi di restauro e di gestione.

E’ infatti difficile pensare che i beni vengano ceduti con un normale affitto a chi deve poi  investire ingenti capitali per conservarli e riadattarli alle nuove esigenze funzionali senza che questi abbia certezza di un possesso a lunghissimo termine. Dunque concessioni o alienazioni, possibilità che si applicheranno a seconda dei vincoli che gravano sui singoli beni.  Alcuni di questi  infatti appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato, e come tali non sono alienabili, altri appartengono invece al patrimonio disponibile, e quindi in via teorica già oggi potrebbero essere ceduti dallo Stato.  Ecco dunque che da un lato si ripresenta per i primi (i beni inalienabili)  l’ipotesi e il rischio delle concessioni pluridecennali (ai canoni che sappiamo e che, per quanto aumentabili, saranno sempre sottostimati rispetto ai possibili guadagni), da un altro per gli altri aumenta a dismisura la possibilità e il rischio di alienazione. Nella sostanza, in entrambi i casi, il bene esce sostanzialmente dalla disponibilità del patrimonio pubblico.

Ma di che beni stiamo parlando? In buona sostanza, con esclusione dei beni appartenenti al patrimonio culturale e di quelli ricadenti nei parchi nazionali,  si tratta di beni del demanio marittimo, idrico (comprese le opere di bonifica )  fluviale e lacuale se sovraregionali, gli aeroporti d’interesse regionale (definiti dall’art. 5 del succitato decreto legislativo) che in linea teorica rimangono “assoggettati al regime stabilito dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice” .

I beni indisponibili ai sensi dell’art. 822 del Codice Civile rimarranno inalienabili  ed incommerciabilizzabili e comunque non dovrebbero formare oggetto a favore dei terzi; quindi l’unico meccanismo possibile è quello delle concessioni. Gli altri, quelli disponibili,  correranno rischi enormi perché le pressioni sugli Enti Locali saranno grandi e il mai sopito giro di clientele politiche è per chiunque difficile da tenere a bada.