Nucleare in Italia: da sempre un pasticcio
Il nucleare in Italia è stato sempre un pasticcio caratterizzato da intrallazzi politici ed economici oltre che da incapacità di scelte. Nel 1951 viene istituito l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, diventato nel 1952 Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (interno al C.N.R.) per “acquisire e diffondere le conoscenze scientifiche sulle applicazioni pacifiche dell’energia nucleare”. Nel 1955 l’EDISON avvia la costruzione a Trino Vercellese del primo monoreattore ad acqua pressurizzata. La scelta dell’EDISON servì da stimolo all’ENI che nel 1956 propose al Governo la realizzazione di un’altra centrale nucleare. EDISON ed ENI aprirono così un confronto sul futuro energetico del Paese che, anche sulla spinta dell’accordo ERATOM, portò alla decisione di costruire in Italia altri due impianti uno a Latina (ENI), un altro al Garigliano (IRI). Nel 1958 vennero così inaugurati i cantieri per la costruzione della centrale di Latina dotata di un reattore MAGNOX (gas-graffite) e nello stesso periodo si realizzò la Centrale del Garigliano con un reattore BRW (ad acqua bollente). Entrambe entrano in funzione nel 1964 ed un anno dopo entra in funzione anche quella di Trino Vercellese. Il nucleare in Italia parte dunque in un clima di competizione interna e nell’incapacità di scegliere la tecnologia da adottarsi: tre centrali realizzate, tre tecnologie diverse, tre diversi soggetti attuatori. Nel 1960 il Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari viene trasformato in Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare staccandolo dal CNR; vengono avviate numerose ricerche sperimentali ma già nel 1963 si apre un dibattito pubblico sull’economicità dell’energia nucleare. Problemi politici e di gestione amministrativa (mai chiariti in modo definitivo) travolgono in uno scandalo clamoroso il Prof. Felice Ippolito (la figura più eminente e nota del nucleare in Italia) al punto che nel 1964 fu condannato, per pesantissime irregolarità gestionali del Comitato Nazionale, alla reclusione di 11 anni e 4 mesi ridotta poi in appello a poco più di 5 anni; il Prof. Ippolito, la cui competenza era indubbia, fu graziato nel 1968 dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Nel “dopo Ippolito” si cercò di razionalizzare la ricerca rafforzando la collaborazione con l’EURATOM ma anche in questo caso furono guai ed ingenti le perdite economiche prodotte. Il prosegui delle lotte intestine tra le società a partecipazione statale, il protrarsi della mancata chiarezza su scelte essenziali quali le tecnologie dei reattori, rallentarono ogni decisione e solo nel 1971 in modo salomonico il CIPE decide che l’IRI si sarebbe occupato della centrali e l’ENI dei combustibili. Per dare un’idea della situazione è sufficiente dire che mentre in Italia si discuteva e bisticciava, nello stesso periodo 1967-1971, in Francia venivano realizzate 30 centrali e 15 in Germania.
Nel 1970 l’ENEL puntò le sue carte su Caorso e nel tentativo di colmare il tempo perso nel 1972 l’Ansaldo e l’Agip Nucleare danno vita alla Nucleare Italiana Reattori Avanzati. Ma la vera spinta a favore del nucleare fu allora determinata dalla crisi petrolifera del 1973 che indusse il Governo a rilanciare un programma che arrivò a prevedere 20 centrali dal 1000 MW ciascuna; il programma fu poi ridotto a 12 centrali poi divenute 6 anche se l’unica decisione concreta fu nel 1975 quando il CIPE decide di realizzare la centrale di Montalto di Castro.
Già dunque dalla fine degli anni ’70 i dubbi sulla capacità e sulla convenienza dell’Italia di sviluppare un proprio programma nucleare erano enormi. E fu così che nel 1978 il Governo decise di realizzare un centro di ricerca sull’energia solare e di attribuire al CNEN compiti di ricerca e sviluppo sulle energie rinnovabili tant’è che il Prof Umberto Colombo, divenuto Presidente del CNEN, teorizzò nel ‘79 la necessità di sviluppare le energie rinnovabili per promuovere lo sviluppo energetico del Paese. Posizioni queste che ebbero molto ascolto anche perche, sempre nel ‘79, aumentano le preoccupazioni (non solo in Italia) sulla sicurezza del nucleare a causa del gravissimo incidente alla centrale americana di Three Miles Island. In somma, all’inizio degli anni ‘80 in Italia erano operativi 4 reattori, di tre tipologie diverse per una potenza istallata pari di soli 1423 MW che per altro durarono pochissimo visto che da lì a breve i problemi ai reattori del Garigliano e di Latina indussero a ripetute e lunghe sospensioni di esercizio.
Più note sono le vicende del referendum che si è tenuto a seguito dell’incidente di Cernobyl (1986) che in Ucraina provocò 56 morti diretti e 4000 nei mesi successivi; 200.000 sono le persone che hanno avuto problemi sanitari anche gravissimi a seguito delle contaminazioni nonostante si sia provveduto all’evacuazione di oltre 350.000 persone. Su quella spinta l’Italia si espresse nel 1987 con il referendum che cancellò la possibilità di produrre energia nucleare nel nostro Paese.
Il Governo Berlusconi reintroduce con legge il nucleare nel 2008. Dopo una mobilitazione che ha lasciato inizialmente perplesso lo stesso movimento ambientalista, ad eccezion fatta del WWF, l’Italia dei Valori riesce a raccogliere le firme per un referendum sul nucleare. Inizia a questo punto una corsa contro il tempo ed il Governo, bluffando, introduce una norma apparentemente abrogativa del nucleare in un provvedimento legislativo già in discussione alle camere: mentre da un lato dichiara di abrogare gli stessi articoli di legge sottoposti a referendum, dall’altro apre esplicitamente alla possibilità di valutare se inserire il nucleare in un futuro piano energetico nazionale sulla base di non meglio chiariti studi internazionali sulla sicurezza degli impianti. Sacrosanta dunque la posizione della corte di Cassazione che non ha ritenuta idonea al superamento del referendum la nuova legge voluta dal Governo ed approvata dal Parlamento.
La Germania ha scelto, il mondo ha scelto nel momento in cui i reattori nucleari in costruzione (una sessantina) sono molto meno di quelli in via di dismissione (su 437 reattori operativi 292 hanno più di 25 anni). In Italia qualcuno vorrebbe nel 2020 produrre energia come si faceva negli anni 70 ed 80. Si è infatti tentato di mentire anche sulla tecnologia dei reattori che rischiamo vengano istallati in Italia se non dovesse passare il referendum, alcuni avevano parlato di reattori di quarta generazione quando questi non esistono sul mercato. Dagli anni ’50 agli anni ’70 il nucleare è passato dalla prima alla terza generazione ed è lì rimasto. E’ stato rafforzato il sistema di sicurezza, che ha aumentato enormemente i costi, ma la tecnologia dei reattori è oggi ancora quella degli ani ’70.
Solo gli addetti ai lavori sanno che, oltre gli impianti ad energia rinnovabile (dighe comprese), in Italia abbiamo un potenziale elettrico già istallato (oltre 105.000 Mega watt) pari al doppio del picco massimo dei consumi (57.000 Mw registrati nel 2007); Sono poi in fase di realizzazione ed autorizzazione impianti per altri 15.000 Mw. Questa produzione elettrica dipende in gran parte dal gas che oggi importiamo per circa 80 miliardi di metri cubi l’anno. Si tratta di forniture garantite da contratti che arrivano per quanta riguarda le forniture russe a clausole di rinnovo sino al 2035; inoltre, provenendo il gas da Paesi non sempre stabili (si pensi alla Libia), si è avviata anche in Italia la realizzazione di impianti di rigassificazione che consentono di acquistare il gas ovunque nel mondo e di trasportarlo via nave sotto forma liquida.
Non abbiamo bisogno dunque di nuova energia, ma abbiamo bisogno di superare l’attuale dipendenza dalle fonti fossili. Come vediamo dunque il nostro futuro? Da un lato il nucleare, da un altro le rinnovabili. La Germania ha scelto e ben prima della messa a bando delle energie nucleare ha sviluppato un sistema di produzione energetica da fonti rinnovabili che sta dando lavoro ad oltre 300.000 persone.
Ma è possibile un mondo senza energia fossile e quindi è possibile pensare anche ad un Italia solamente alimentata da energie rinnovabili? Chi ritiene che gli studi prodotti dagli ambientalisti siano di parte, farebbe bene a prendere visione dell’analisi di Mark Delucchi dell’Università di California Davis e Mark Jacobson, della Stanford University che hanno documentato come non sia più un problema di soluzioni tecnologiche, ma solo d’investimenti e di volontà politica. Per l’Europa poi basti vedere il rapporto curato dell’Istituto di Ricerca McKinsey (preso come riferimento dall’Unione Europea) che ha indicato quali dovrebbero essere le azioni da porre in essere per avere un sistema elettrico al 100% interamente “carbon free”, cioè generato da fonti rinnovabili, entro il 2050. Certo occorre fare un grande salto di mentalità, aprirsi ad una visione diversa basata sulla diffusione di piccoli e medi impianti legati innanzi tutto all’autoproduzione, occorre superare il concetto di “centrale” che ha caratterizzato sino ad oggi le produzioni elettriche, ma la strada delle rinnovabili e oggi certamente possibile.
Mentre ovunque nel modo si discute di questi scenari, in Italia ci si è concentrati sul nucleare e si è lasciato lo sviluppo delle energie rinnovabili senza una programmazione sino a farle diventare oggetto di speculazione. Ma soprattutto il boom degli impianti fotovoltaici registrato nel 2010 lascia sperare per il futuro, nonostante un taglio degli incentivi del settore, ad una crescita costante. Occorre però che la politica si metta con più decisione dalla parte delle rinnovabili che devono tornare ad essere energie alternative, cioè in sostituzione di quelle fossili, e non già aggiuntiva come abbiamo fatto in Italia. Il Referendum sul nucleare può dare una spinta in questa direzione e creare i presupposti anche per un’economia diversa.