Beni comuni, scelte e referendum
Il dibattito sui beni comuni é fatto recente e lo é anche il termine usato che ha un suo immediato significato che associa “comuni” con il concetto di distribuzione egualitaria dei beni. E infatti la discussione del tema si é accentrata sulla antinomia pubblico/privato e il movimento in favore del mantenimento e della riproduzione dei beni comuni, per ora apparentemente vincente, chiede la pubblicizzazione dei beni secondo la antica tradizione di tutte le sinistre.
Poco si discute purtroppo sulla natura dei beni , termine il cui significato é andato cambiando negli ultimi venti-trenta anni, né si dice molto sulla loro gestione, pubblica o privata che sia. Questo rende quasi inesistente il dibattito sui modi concreti con cui affrontare la rapida distruzione di alcuni beni essenziali e sugli eventuali interventi per aumentarne la quantità e la qualità roproducendoli o abbassandone il degrado. Ciò nonostante che l’incredibile successo ottenuto nella campagna per il referendum contro la privatizzazione dell’acqua abbia dimostrato che questo é un tema che tocca corde solo apparentemente nascoste della gente. E’ quindi a nostro parere urgente e fondamentale affrontare un dibattito approfondito in modo da essere pronti a gestire una eventuale vittoria sul tema dell’acqua estendendo il dibattito in modo da articolare e diffondere un pensiero omogeneo che comprenda tutti i “beni comuni”, partendo intanto da una loro precisa definizione.
a)Quali sono i beni comuni?
Se prendiamo alla lettera il significato del termine “bene”, lo associamo immediatamente al bene-essere , lo stare e sentirsi bene da ogni punto di vista, il vivere bene e, anche se il termine é veramente ambiguo, “essere contenti” di come si sta. Ora, é ovvio che una persona vive bene quando ha a portata di mano tutto quello che serve per vivere nella sua concezione soggettiva della “buona vita”.
Una prima risposta banale ma ovvia é che vive bene chi ha a disposizione i quattro elementi, aria, acqua, energia, suolo. Aria perché respiriamo, acqua perché siamo fatti essenzialmente di quel liquido, energia e terreni su cui coltiviamo ed alleviamo piante ed animali, e da cui traiamo materiali con cui costruire rifugi in cui abitare e tutti gli infiniti utensili di cui abbiamo bisogno. Oltre a questi quattro elementi che anche gli antichi consideravano fondamentali, si possono considerare beni comuni gli esseri viventi e non solo quelli che usiamo direttamente come cibo.
Fra questi, le prime da prendere in considerazione sono le piante che sono le uniche capaci di usare l’energia solare per produrre materia vivente, ma un ruolo di base lo hanno anche i microrganismi in particolare del suolo, che sono essenziali perché rendono riutilizzabile l’energia del sole fissata nelle piante e negli animali modificando nel suolo i loro resti e rendendoli di nuovo assimilabili da parte di altri esseri viventi. Non soltanto ma, anche se pochi di noi lo sanno, i batteri e altri microrganismi sono necessari alla vita degli animali in cui si trovano in grande quantità e svolgono ruoli essenziali. Non é per caso che un chilo e mezzo di ognuno di noi é fatto di microrganismi e le loro cellule sono molto più numerose delle nostre nel nostro stesso corpo.
Noi animali siamo quindi essenzialmente degli sfruttatori, comparsi molto dopo gli altri.Un quinto bene comune a tutti gli esseri umani é quindi l’intero sistema vivente terrestre, tutto connesso, che vive solo se le connessioni vengono mantenute e la cooperazione naturale fra diversi non viene distrutta. Questi concetti sono ormai nozione comune per chi si interessa della vita sulla Terra e sa benissimo da una parte che la rottura delle connessioni é mortale ( é paradigmatico l’esempio degli ecosistemi che se frammentati collassano), e dall’altra che la connessione-cooperazione avviene solo fra diversi che insieme costituiscono entità ancora diverse dalla somma dei due componenti. Si potrebbe anche dire che lo “stato vivente della materia” ha bisogno della diversità per essere tale e delle “invenzioni” che derivano dalle interazioni fra componenti diversi. Difficilmente le piante potrebbero sopravvivere senza i microrganismi del suolo, lo stesso sarebbe per noi e per gli altri animali senza i batteri, e per tutti senza le piante fissatrici e distributrici di energia fissata. Tutta questa rete di “cooperazione naturale” vive a condizione di poter cambiare continuamente ( ha bisogno di diversità) per potersi adattare alle modificazioni globali che avvengono nella materia non vivente del nostro Pianeta e che determinano la temperatura dell’acqua e dell’aria, la forza delle correnti e dei venti, la struttura dei terreni anch’essi in continuo cambiamento. Basta pensare al cambiamento climatico in atto in questo periodo, ai continui movimenti tellurici fra cui quelli della tettonica a placche ecc.
Se queste sono regole generali della vita a cui dobbiamo attenerci anche noi umani se vogliamo sopravvivere é però anche vero che i diversi gruppi di organismi hanno elaborato strategie di adattamento diverse fra di loro.
I batteri, che hanno vite di pochi minuti , non devono affrontare molti cambiamenti ambientali durante i singoli cicli vitali e quindi basano la loro sopravvivenza essezialmente sulla variabilità dei loro corredi genetici. Per questo si sono “forniti”, durante la loro evoluzione di geni che, in caso di bisogno, ne attivano altri, detti appunto “mutatori” che provocano cambiamenti nella catena del DNA. Le piante e gli animali invece, hanno anche loro strumenti per cambiare geneticamente ma, dovendo cambiare durante le singole vite hanno inventato “processi” non di cambiamento strutturale dei geni ma di regolazione della intensità della loro espressione. In gergo biologico si dice che il sistema dei batteri ne aumenta la “evolvabilità” mentre animali e piante si basano sulla “plasticità” durante le loro vite. Noi esseri umani infine, utilizziamo sia plasticità che evolvabilità ma, grazie al nostro cervello, diverso da tutti gli altri, abbiamo sviluppato una strategia di adattamento completamente diversa. Mentre nel caso degli altri esseri viventi quando cambia l’ambiente vengono attivati i sistemi di plasticità ma contemporaneamente l’ambiente stesso “sceglie” quali individui far riprodurre in base alla adattabilità maggiore o minore del loro corredo genetico , nel caso nostro avviene l’opposto perché noi, utilizzando la immensa capacità di invenzione del nostro cervello, invece di farci selezionare passivamente, inventiamo modi per cambiare l’ambiente rendendolo consono ai nostri bisogni.
E’ per questo che, come é stato dimostrato recentemente, esseri umani che vivono in ambienti diversi non sono diversi geneticamente ma hanno costruito culture diverse da ogni punto di vista a cominciare dai cibi, per andare alle caratteristiche degli edifici, alle culture, ai riti e alle religioni , in sintesi a infiniti modi di vivere diversi utilizzati per rendere l’ambiente abitabile ed utilizzabile. Tutto questo é avvenuto perché siamo stati capaci di inventare continuamente il cambiamento e di costruire modi di vivere sempre nuovi nonché prodotti anch’essi continuamente rinnovati secondo i bisogni. Noi, in sintesi, viviamo perché pensiamo, inventiamo e lavoriamo.
Possiamo allora dire che nel caso degli esseri umani e solo di loro, un bene comune fondamentale per la sopravvivenza, il sesto dopo aria, acqua, energia, suolo, sistemi viventi, é la conoscenza. Ma, ancora, la conoscenza, non può essere utilizzata se non con il lavoro individuale e collettivo e non qualunque lavoro ma solo quello veramente utile nel senso che é diretto a modificare il Mondo per farci stare meglio. Questo significa che deve essere lavoro ad alto contenuto di conoscenza e sempre innovativo come devono essere i prodotti ottenuti. Un essere umano quindi, lo é compiutamente e partecipa veramente alla sua comunità, conoscendo, lavorando, utilizzando e sviluppando le sue conoscenze per produrne ed attuarne altre con il lavoro manuale ed intellettuale. Il lavoro o meglio i lavori dei due tipi devono quindi riacquistare la loro dignità di bene necessario anche se in questo caso non si può né si deve parlare di bene comune nel senso di bene proprietà di tutti perché il lavoro, nel Mondo umano reale, appartiene ai lavoratori che ne sono autori e produttori.
Riscoprire il bene-essere
Definiti così i beni comuni ( aria, acqua, energia, suolo, bio-diversità, conoscenza), si tratta ora di discuterne in termini di conservazione, produzione e riproduzione, distribuzione, o meglio accesso a chi ne ha bisogno. Tutto questo é fattibile e si può regolare ma solo a patto che si abbia una visione chiara della rilevanza dei beni comuni non solo per i singoli ma per la intera comunità umana.
Questo comporta la coscienza da parte di tutti della priorità delle vite nostre e degli altri, tutte connesse fra di loro e assolutamente necessarie le une alle altre. Purtroppo bisogna dire con rammarico e timore del futuro che il mondo umano sembra che stia perdendo rapidamente questa concezione e applica sempre di meno la scala di valori che ne consegue. Infatti, come ho discusso più ampiamente in un altro, recente, saggio ( Metamorfosi), il progressivo distacco degli esseri umani dalla coscienza della natura esterna ma anche dalle loro singole naturalità a cominciare dal loro corpo, é andato accentuandosi dalle rivoluzioni industriali in poi con un processo di progressiva auto-alienazione i cui prodromi erano stati discussi da Marx e in genere dalla sinistra nell’Ottocento e in una grande parte del Novecento, senza che peraltro ne sia uscita una strategia globale capace di fermarne il corso suicidario. Un buon indicatore di questo processo é proprio il significato che abbiamo attribuito a termini come ricchezza, potere, sviluppo, benessere. In un tempo ormai molto antico, infatti, per ricchezza si intendeva possesso di materia viva e non viva e di fonti di energia da utilizzare per il proprio bene-essere e da scambiare prima direttamente e poi attraverso il denaro con gli altri esseri umani. Un uomo ricco era allora colui che possedeva terre, armenti, schiavi e magari donne a volontà ( quello che nel meridione non a caso veniva chiamato “omo e’ panza”). Poi , con le rivoluzioni industriali il concetto é cambiato, il capitale naturale dei fondatori della economia classica é stato rapidamente relegato in una funzione di semplice supporto delle attività produttive e allora ricco é stato considerato l’imprenditore possessore di molte e grandi fabbriche e di conseguenza fruitore di una grande massa di mano d’opera e produttore di “materia umanizzata” e cioé utile per il bene-essere. Per sviluppo, nei Paesi cosiddetti appunto “sviluppati”, anche quando si é abbandonata o fortemente ridotta la agricoltura come fonte di ricchezza, la quantità di denaro ottenibile dai prodotti del lavoro, ancora utlizzato in teoria per facilitare gli scambi, é stata legata alla quantità e alla qualità dei beni artificiali da immettere in un mercato certamente mai libero ma ancora basato sulla concorrenza in base al valore d’uso dei prodotti e quindi alla loro qualità e a quella del lavoro a sua volta correlato anche se solo in parte, al costo della mano d’opera. Per lungo tempo , di conseguenza, i prezzi dei prodotti sono stati determinati da questi parametri e al costo del “capitale naturale” utilizzato. Il significato del termine “bene” é poi andato ulteriormente cambiando e si é “smaterializzato” come smaterializzata si é anche la vita degli esseri umani sempre meno coscienti della propria natura di esseri non solo viventi ma anche pensanti.
Il mercato dei fondatori della economia , oltre ad essere sempre meno libero perché gradualmente occupato da poche e sempre più gigantesche imprese spesso multinazionali, é radicalmente cambiato e i prezzi, sempre più scollegati dai parametri precedenti ( quantità, qualità dei prodotti, costo del lavoro e del capitale naturale) si sono alzati ed abbassati sempre di più sulla base della intensità ed efficacia della pubblicità, del marketing, e del sempre più imprevedibile e incontrollabile oscillare dei valori delle borse. Non a caso le stesse industrie farmaceutiche che dovrebbero lavorare ed essere competitive per la utilità dei farmaci, spendono sempre meno per la ricerca e sempre di più per la pubblicità. Analogamente i libri di gran lunga più comprati sono quelli che contengono meno conoscenza e più pubblicità nel senso che vengono imposti da questa. Basta pensare al caso della serie di Harry Potter ed alle vere e proprie battaglie che si scatenano quando esce un nuovo volume.
Persino i cibi, nei Paesi del Nord del Mondo, incontrano più facimente il favore dei consumatori se sono ben confezionati, fortemente pubblicizzati, dotati di marchi di origine e di denominazione controllata ecc. Un esempio patente di questa smaterializzazione sembra essere la cosiddetta “nouvelle cuisine” in cui i piatti, giganteschi, contengono spesso minuscole porzioni di cibo allegramente colorate e disposte e non necessariamente di buon valore nutritivo e di buon gusto . Ancora più preoccupante appare la smaterializzazione non solo dei singoli individui ma anche di intere comunità che si organizzano e si riconoscono nei consumi e non nelle culture, nei pensieri, nelle lingue. Non a caso anche nelle scuole diventa obbligatorio per essere accettati avere un certo tipo di scarpe, di vestiti, di preferenze per una particolare band musicale.
Basta osservare il continuo cambiamento di “divise” nelle strade principali delle città di provincia alle ore in cui i giovani escono e si vestono in modo da “appartenere” alla maggioranza. Stiamo assistendo apparentemente inermi ad una vera e propria mutazione antropologica in cui il “bene” é sempre meno quello che ci serve per vivere meglio e sempre di più invece quello che “ci dicono” che vogliamo e dobbiamo comprare. Basti , come esempio di questi anni, il fatto che , nella situazione attuale di crisi economica, gli stessi italiani, un tempo fortemente attaccati alla “vita vera” come tutti i popoli del Mediterraneo poveri o in presenza di un ritorno di povertà, hanno diminuito la spesa per il cibo ed aumentata invece quella per i cellulari e per gli attrezzi per la cucina , adesso volutamente di durata molto limitata ed oggetto di sfrenate campagne pubblicitarie.
Questa mutazione in realtà é cominciata da molto tempo ed era stata prevista in modo abbastaza preciso già alla fine degli ai “60 del secolo scorso ad esempio da Marcuse nel suo volume “L’uomo ad una dimensione” ma ora come non mai, ha modificato pesantemente la struttura stessa della economia mondiale. In questo momento storico infatti, come vanno dicendo molti studiosi della struttura e delle dinamiche delle economie, oltre l’ottanta per cento del danaro scambiato non ha niente a che fare con lo scambio di merci. Il denaro stesso quindi é diventato merce e la competizione avviene ormai nelle Borse di tutto il mondo e sempre di più in modo virtuale attraverso la compra-vendita di denaro in gran parte online, e non di beni, nemmeno quelli “smaterializzati” che abbiamo appena discusso.. Per questo adesso é ricco e potente solo chi possiede denaro e non necessariamente beni commerciabili attraverso di esso.
Purtroppo la follia di alienazione pervade sempre di più tutto per cui l’unico parametro per misurare la ricchezza di un Paese continua ad essere il PIL nonostante alcuni recenti tentativi, come quello francese, di trovare indici almeno un po’ più aderenti alla realtà. Di conseguenza si investe non per costruire materia utile e nemmeno servizi ma semplicemente per far circolare moneta. In questo l’Italia insegna ed appare come la mosca cocchiera di questo processo come si vede da una serie di indicatori. Ad esempio é sempre più evidente che grandi opere come il ponte sullo stretto di Messina o il nucleare o la ricostruzione dell’Aquila, anche a prescindere da un giudizio sulla loro utilità, non verranno mai fatte ma il loro annuncio permette già da ora la erogazione di denaro agli “amici” per la progettazione di qualcosa che non verrà mai costruito perché impossibile come il ponte o inutile, scartato da un referendum e pericoloso come il nucleare.
Analogamente i guadagni delle multinazionali derivati da alcune delle cosiddette “innovazioni” tecnologiche ( ad esempio le piante geneticamente modificate, i cloni, gli strumenti molecolari che dovrebbero dirci quando moriremo e di cosa ecc.) non provengono che in piccola parte dalla vendita diretta del prodotto, ma dallo sfruttamento dei brevetti che le coprono e dalle speculazione delle Borse in cui i titoli salgono in funzione della pubblicità spesso precedente alla entrata nel mercato semplicemente quando vengono annunciati con grande clangore i nome dei progressi di una “scienza” che molto spesso non é altro che una tecnologia destinata al fallimento. Per non parlare naturalmente della “economia canaglia” descritta nel bel libro di Loretta Napoleoni o della “shock economy” di Naomi Klein, che non solo non producono beni ma li distruggono.
Così avviene con l’enorme quantità di moneta che deriva dal commercio della droga , dalla prostituzione di ogni tipo, dagli stessi disastri naturali a loro volta provocati dalle modificazioni del clima da parte di inutili e dannose opere umane. Tanto che non il benessere ma, al contrario, il malessere rende a chi lo sfrutta sempre di più. E infatti ormai viene considerato buono un investimento se fa entrare nel mercato molto denaro a prescindere dall’uso che se ne fa e dalle conseguenze della sua utilizzazione.
Un esempio italiano é quello della operazione Marchionne sulla FIAT in cui l’accordo , poi firmato da CISL e UIL, é stato fatto sulla base di investimenti promessi ( nemmeno effettuati!), senza però che siano stati discussi né il Piano industriale né tantomeno la dinamica occupazionale che ne potrebbe derivare. Su questa offerta soltanto virtuale i sindacati firmatari hano accettato un aumento fisicamente mal sostenibile del carico di lavoro che servirebbe per “aumentare la produttività”. Anche questo aumento di produttvità derivante da un orario di lavoro bestiale é da considerarsi ad effetto virtuale in quanto ad esso non potrà corrispondere un aumento di produzione visto che FIAT non vende a sufficienza anche perché da tempo non investe in innovazione e in nuovi modelli competitivi per la loro qualità. E’ ovvio quindi che, se aumenta la produttività ma non la produzione , l’accordo comporterà necessariamente una riduzione del personale che si sta infatti già verificando con l’aumento della cassa integrazione per non parlare dello spostamento della cabina di regia della FIAT negli Stati Uniti.
Il guadagno monetario per la FIAT invece c’é e in questo caso deriva dalla minore spesa per la mano d’opera ma ancora di più dal fatto veramente significativo che l’indice in Borsa delle imprese aumenta automaticamente quando la mano d’opera impiegata cala.
Marchionne, i suoi sistemi e la sua concezione di sviluppo e di crescita sempre più virtuale sono esempi paradigmatici di quanto sta succedendo e avviane in Italia anche perché il nostro Paese nel suo complesso rappresenta di fatto la accentuazione caricaturale di un processo comune quantomeno all’Occidente industrializzato. Qui da noi la pubblicità e la coartazione delle menti sono al massimo e solo da noi assistiamo ogni giorno alla uccisione vera e propria della scuola ,delle Università, della ricerca, mentre le imprese non investono più nella innovazione e si é fatto strada il concetto che pensare , studiare, ricercare, in sintesi la intera strategia adattativa umana, non servono a nulla per il sempice fatto che , ache dove producono materia non producono sifficiente denaro.
Nel Mondo, va detto con chiarezza, sono soprattutto i cosiddetti Paesi sviluppati che guidano questa corsa suicida mentre le Nazioni emergenti corrono ancora per la strada della produzione materiale anche se colpiti anche loro dalla corsa all’acquisto e alla vendita forsennata di prodotti imposti. Ed é ancora in queste Nazioni e nei Paesi detti “in via di sviluppo” che ci sono grandi e interessanti movimenti di resistenza, di difesa della conoscenza diffusa e anche di ricerca di un “nuovo” che non necessariamente sia uguale a quello del Nord del Mondo. Questo anche perchè la speculazione, che abbassa il tenore della vita reale di tutto il Pianeta, colpisce con particolare durezza chi già fatica a “mettere isieme pranzo e cena”. E infatti la rivolta del Nord Africa é in parte consistente l’effetto della speculazione sui prezzi del cibo che favoriscono non i produttori ma le grandi imprese che controllano a livello globale tutta la filiera dei prodotti necessari alla produzione agricola e la distribuzione dei prodotti della terra.
D’altra parte alla speculazione si aggiungono anche gli effetti deleteri del cambiamento climatico che stanno producendo la desertifcazione di vastissime aree del Pianeta e un aumento esponenziale delle inondazioni e di altri “fenomeni eccezionali” come é avvenuto recentemente in Australia con gli allagamenti e in Russia con gli incendi. La distruzione dei beni comuni legata al cambiamento climatico é d’altra parte anch’essa direttamente legata alla “mutazione” del sistema economico ed alla perdita di contatto della umanità con la realtà di un ambiente globale i cui cambiamenti non sono immediatamente prevedibili e che possono , come avviene in tutti i sistemi complessi, andare incontro a “biforcazioni” catastrofiche.
Come invertire la tendenza?
Quello che abbiamo discusso fin qui ci dice con chiarezza che la questione dei beni comuni non può essere semplicemente limitata al problema privatizzazione sì/ privatizzazione no, che pure é senza dubbio rilevante. Come si diceva prima infatti i beni comuni certamente devono essere accessibili da parte di tutti ma oltre a questo é necessario conservarli e riprodurli creandone magari dei nuovi, naturalmente solo se utili secondo la ancestrale vocazione umana alla utilizzazione del capitale naturale in modo da aumentare il bene-essere e non solo il bene-avere delle popolazioni . Anche solo per avviarsi di nuovo su questo percorso che ha reso la nostra specie la piu “generalista” di tutte é necessario che l’obiettivo della produzione sia di nuovo chiaro, i soldi tornino, anche se lentamente, ad essere considerati un mezzo e non uno scopo, il rapporto fra economia reale ed economia virtuale si risposti a favore della prima e contemporaneamente si ricominci ad usare al massimo la nostra strategia adattativa basata sulla conoscenza del reale, sulla innovazione e i suoi effetti sulla materia e sulle vite, in altre parole sull’utilizzo del nostro strumento adattativo chiave, il cervello.
Il compito da questo punto di vista é effettivamente immane perché comporta inevitabilmente una mentalità globale nuova, nuove regole di commercio anche alla luce dello stallo della Organizzazione Mondiale del Commercio, strumenti del tutto nuovi di regolazione della questione della proprietà intellettuale, una rivalorizzazione delle conoscenze accumulate dalla nostra specie e la incentivazione di nuove ricerche e nuovi, utili prodotti, una regolamentazione mondiale dei rapporti fra le Banche, le imprese e i cittadini, e , “last but not least” il riconoscimento del fatto che siamo una delle tante specie ancora presenti sul nostro Pianeta, senza dubbio fra le più deboli dal punto di vista fisico, che può vivere soltanto se rispolvera con chiarezza il concetto di “capitale naturale” e vi include, cosa che i fondatori della economia non hanno fatto, il capitale umano , le conoscenza, la biodiversità naturale e culturale.
Non é questa la sede per proporre rimedi all’attuale scivolamento veloce verso il disastro ma alcuni elementi non solo teorici di come cambiare rotta si possono accennare.
a)Riconoscere l’unità del Pianeta
La conservazione e la riproduzione dei beni comuni sono possibili se si riconosce la profonda unitarietà del Pianeta e dei sistemi viventi della Terra. Naturalmente questo non impedisce azioni rivolte a conservare componenti specifiche del sistema ma sottolinea il fatto che, essendo la nostra specie, come si accennava prima, generalista, inevitabilmente i nostri modi di essere si diffondono fra le comunità umane e influenzano globalmente lo stato del capitale naturale inteso nel modo con cui lo abbiamo definito precedentemente.
Si tratta quindi, certo, anche combattere sui singoli problemi come stiamo facendo ad esempio con la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua e contro la scelta nucleare, ma dobbiamo avere ben presente che contemporaneamente dobbiamo lavorare per far germinare semi di cambiamento nel nostro complessivo modo di essere e di gestire. Per questo si tratta innanzitutto di far entrare norme cautelative in tutta la filiera dei processi che precedono la immissione sul mercato di nuovi prodotti, dalla concessione di terreni e incentivi di vario genere alle imprese, alla analisi dei prodotti in termini di efficienza ed utilità per la conservazione e la riproduzione dei beni comuni ecc. Questi elementi di giudizio e di prevenzione potrebbero essere aggiunti alle pratiche in vigore per la assegnazione di finanziamenti ed incentivi e per la immissione sul mercato di nuovi prodotti come la VIA ( valutazione di impatto ambientale) , la VAS ( Valutazione ambientale strategica) , lo Hazard Assessement of Critical Points ecc., tutti strumenti teoricamente legati alla utilizzazione del Principio di precauzione che danno un giudizio preventivo sull’impatto ambientale del prodotto , sui pericoli per la salute nel caso dei prodotti alimentari, sul bilancio e i costi energetici del ciclo di produzione ecc.
Per fare un esempio di un settore in cui una pratica del genere risulterebbe di grande utilità, citerò il caso degli OGM ( Organismi Geneticamente Modificati) che sono uno degli esempi più caratteristici della economia virtuale. Queste piante ( le PGM) sono state fino dall’inizio propagandate come la fonte di cibo del futuro fin dalla loro prima immissione sul mercato, nel 1996, sulla base di un giudizio altamemte positivo delle potenzialità della cosiddetta tecnica del DNA ricombinante che consiste nel trasferimento di un frammento di questo da un organismo ad un altro di specie diversa. Il risultato in realtà é stato del tutto deludente in quanto dagli anni “Ottanta del secolo scorso ad ora solo quattro piante sono state modificate (Mais , soia, colza, cotone) e solo per due caratteri ( resistenza ad insetti e resistenza a diserbanti). Queste piante ( Buiatti…) non sono risultate più produttive delle non modificate, non ne hanno migliorato le caratteristiche qualitative, in altre parole sono state un fallimento dal punto di vista tecnologico. Nonostante questo, in questo momento coprono una superficie complessiva di ben 134 milioni di ettari nel Mondo e hanno soppiantato, in particolare in Paesi in via di sviluppo come la Cina, l’India, il Brasile, l’Argentina, le culture tradizionali produttrici di cibo aumentando così il problema della fame, oppure beni comuni di grande rilevanza come parti della foresta amazzonica , zona estremamente importante di conservazioe della biodiversità e critica per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica nell’ambiente.
La forza di penetrazione di questi prodotti deriva dalla potenza delle imprese produttrici, grandi multnazionali di orgine chimica che hanno inglobato case farmaceutiche e le maggiori imprese sementiere sul piano internazionale, e controllano così una parte consistente di tutta la filiera alimentare del Mondo. Inoltre come si dceva prima, il guadagno enorme delle imprese multinazionali non deriva che in piccola parte dalla vendita delle PGM ma dalle royalties che le imprese ottengono da chi le vende e le coltiva e dai giochi in Borsa in cui le quotazioni salgono quando viene “costruito” un nuovo OGM che magari non entrerà mai sul mercato o quando un Paese che aveva proibito le PGM apre le frontiere a questi prodotti. Purtroppo per lungo tempo il dibattito su questi prodotto é stato limitato , sia dai produttori che da parte degli ambientalisti al problema della sicurezza alimentare e solo recentemente si é almeno parzialmente allargato ai problemi derivanti dalla trasformazione delle agricolture in industrie vere e proprie, dalla deforestazione, dalla conversione dalla produzione di cibo a quella di cotone per le industrie, soia e mais per l’allevamento del bestiame ecc. Quasi nessuno inoltre ha affrontato il livello di conoscenza di questi prodotti, estremamente basso anche perché la ricerca é stata praticamente bloccata dai produttori che non sembrano averne bisogno proprio perchè il guadagno deriva da altro come abbiamo chiarito precedentemente. Tutto ciò non sarebbe avvenuto se ai controlli sulla bio-sicurezza , del resto del tutto inefficienti e resi tali dalle pressioni delle multinazionali e dalla infiltrazione di loro emissari anche nei sistemi di controllo, fossero stati affiancati parametri che misurassero gli effetti sulle agricolture e in genere sui beni comuni.
La mancanza di un approccio complessivo ed integrato nella scelta dei metodi e nella organizzazione del controllo, anche a prescindere dagli effetti letali delle pressioni economiche deriva anche, si badi bene, dalla impressionante frammentazione del pensiero dell’epoca attuale, che impedisce agli imprenditori ma soprattutto alle istituzioni di controllo ed incentivazione delle attività imprenditoriali, di andare oltre l’analisi del rendimento “monetario” delle attività produttive, per studiarne la utilità in termini di beni comuni nella definizione che ne abbiamo dato in questo articolo. Del resto la frammentazione della conoscenza che si traduce nella visione meccanica della materia vivente e non vivente del nostro Pianeta e contemporaneamente ne é prodotto, viene poi riflessa su tutte le istituzioni di ogni Paese spesso scollegate e per questo inefficienti a cominciare da quelle della formazione, fondamentali per qualsiasi cambiamento delle azioni individuali e collettive, per andare poi alle strutture statuali e private che noi esseri umani ci siamo dati dalle rivoluzioni industriali in poi. Eppure il ritorno alla coscienza della unità essenziale dei sistemi viventi e non viventi del Mondo é poi una parte fondamentale del ritorno alla percezione dei nostri stessi corpi e della materia tutta, contemporaneamente prerequisito essenziale della nozione di bene-essere nostro e del sistema vivente complessivo del Pianeta. Come si dice in gergo biologico si tratta quindi di innescare una “reversione” della mutazione antropologica che ci ha portato a dimenticare la vita e di tornare quindi, forti delle nuove conoscenze, alla loro utilizzazione per un nuovo, urgente e difficile ma necessario processo di ri-adattamento del sistema Terra.
Marcello Buiatti