Il successo di Copenhaghen
A dicembre del 2009 si è concluso il vertice di Copenhagen senza che sia stato raggiunto un accordo sulle misure da adottare per contrastare i cambiamenti climatici.
Non capisco quelli che piangono su questo risultato. A mio avviso una lettura approfondita delle dinamiche geopolitiche dimostra che questo vertice è stato un vero successo e ha segnato una svolta. E’ cambiato il modo con cui la politica affronta le questioni ambientali. L’ambiente non è più l’habitat in cui viviamo ma è una opportunità di business. E’ finito il tempo degli ambientalisti ed è giunto quello delle industrie.
I motivi del presunto fallimento, infatti, non sono legati alle questioni energetiche o ambientali, ma sono connessi alla futura leadership industriale.
Quando saranno posti target ambientali vincolanti sulle emissioni climalteranti, infatti, si apriranno nuovi mercati in ogni parte del mondo. Ci saranno forti richieste di prodotti ad alta efficienza energetica, e molti governi locali incentiveranno l’acquisto di questi prodotti per non pagare le multe collegate agli obiettivi stessi. Tutti i cittadini cambieranno i loro stili di vita e avranno bisogno di sistemi energeticamente efficienti.
Gli industriali, e/o i paesi, che avranno questi prodotti vivranno un vero e proprio periodo di boom industriale. Se venissero posti dei vincoli oggi, la domanda di impianti ed apparecchiature sarebbe molto superiore alla offerta delle industrie,
Al momento le tecnologie disponibili sono soprattutto tedesche, giapponesi, coreane e americane. Ossia dei paesi che hanno iniziato a investire in questi settori già da qualche anno.
La Cina ha sperimentato le opportunità di questo scenario con la preparazione ai giochi olimpici di Pechino del 2008 quando dalla comunità internazionale le furono imposti vincoli sulla qualità dell’aria e su alcuni parametri ambientali della città di Pechino.
La Cina non è ancora pronta. Finora aveva soprattutto copiato i prodotti stranieri, ma dalle Olimpiadi in poi ha cominciato a produrre nuove tecnologie nel settore energetico-ambientale. Ma le serve ancora del tempo per consolidare un primato e per avviare proprie produzioni. Occorre preparare le industrie al boom della domanda futura. Occorre mettere a punto nuovi prodotti.
Poi accadrà quello che è successo dopo l’11 settembre. Il giorno dopo il crollo delle Torri Gemelle, il presidente Bush negoziò l’entrata definitiva della Cina nel WTO prendendosi ancora un periodo di “tregua”. La Cina voleva entrare nel WTO da molti anni e mostrava segni di impazienza da quando era tornata in possesso di Hong Kong.
L’accordo quindi era quello che la Cina sarebbe entrata nel WTO in alcuni settori merceologici dopo tre anni.
Allo scadere della mezzanotte del 31 dicembre del 2004, navi cinesi cariche di prodotti tessili a basso costo attraccarono nei porti del mondo creando panico fra gli industriali locali e perturbando il sonno dei pigri politici occidentali.
Alle richieste di dazi sui prodotti cinesi, il ministro del commercio cinese rispose: “Sapevate che saremo entrati operativamente nel WTO. Noi ci siamo preparati in questi anni e voi no. Non potete lamentarvi”.
E questo è quello che accadrà nel settore dei prodotti tecnologici legati alla efficienza energetica e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. E non passerà molto tempo. Allora sarà la Cina a volere obiettivi sempre più ambiziosi: obiettivi più alti corrisponderanno a mercati più grandi.
Ecco quindi spiegato il motivo per cui ho titolato l’articolo in questo modo. A Copenhagen è risultato evidente come per motivi industriali e di occupazione tutti i paesi sono d’accordo ad imporre vincoli ambientali. Ma questi vincoli saranno effettivi solo quando il sistema industriale di alcuni paesi sarà pronto.
Con questo scenario, occorre riflettere su quali sono le opportunità industriali per tutti quei paesi che non saranno leader tecnologici o per le piccole realtà industriali locali che comunque hanno investito in tecnologia e vorrebbero arrivare al grande mercato che sta per aprirsi.