LA LIBERALIZZAZIONE DELL’ENERGIA
In Europa la caduta del muro di Berlino ha inaugurato una stagione di liberalizzazioni. Tutti i paesi hanno iniziato a disfarsi delle industrie di Stato, spesso inefficienti e poco produttive. I cittadini plaudevano a queste cessioni che, secondo i politici di allora, avrebbero creato nuovi mercati. E nuovi mercati significava nuova concorrenza e un abbassamento dei prezzi del prodotto finale per il cittadino-acquirente.
A posteriori dobbiamo essere sinceri e ammettere che la storia non si è svolta esattamente secondo queste prospettive che ci avevano raccontato. Spesso le industrie di Stato, infatti, non riguardavano prodotti qualsiasi ma beni e servizi strategici. Ma i settori strategici erano tutti pubblici: ad esempio alcune banche o le compagnie di telecomunicazione erano pubbliche. E abbiamo visto come durante la crisi finanziaria in molti paesi è avvenuta una ri-statalizzazione proprio del settore bancario che, lasciato all’etica del mercato, aveva distrutto l’economia reale. Persino nella liberalissima America, compagnie di assicurazioni e banche sono state supportate con interventi pubblici.
Un altro settore strategico che è stato oggetto di vendita da parte dello Stato è quello della produzione e distribuzione di energia. In questo caso le liberalizzazioni hanno seguito una logica articolata: per prima cosa sono stati separati i settori della produzione da quello della distribuzione, poi sono stati eliminati i monopoli favorendo l’ingresso di altre imprese e si sono vendute le quote delle imprese nazionali.
Spesso, bisogna ammetterlo, lo Stato si è tenuto una Golden Share, ossia la possibilità di avere ancora un controllo decisionale strategico pur non essendo più l’unico azionista.
Ma quale è stato l’effetto di questa decisione? Come sempre, le nuove industrie lasciate al libero mercato hanno pensato che per aumentare i ricavi (e con essi gli stipendi di molti direttori) dovevano tagliare le inefficienze e dare in outsourcing alcuni servizi. E per alcuni decisori i centri di ricerca interni rappresentavano una di queste inefficienze.
Così, mentre per una azienda di Stato investire in ricerca e manutenzioni rappresentava un punto di orgoglio e un metro di giudizio con il quale valutare l’operato del management, per alcune aziende privatizzate questi rappresentano dei costi. E la divisione fra produzione e distribuzione ha favorito questa supposizione.
Ovviamente non sempre è andata così: alcune imprese hanno continuato a investire in ricerca e alcuni paesi non hanno proceduto alle liberalizzazioni. Spesso la Francia è stata accusata di concorrenza sleale proprio per questo motivo: con il motivo del nucleare non ha liberalizzato le aziende energetiche e continua a supportarle anche nella loro conquista di nuovi mercati all’estero.
E proprio come è accaduto per il sistema bancario, durante la crisi energetica (non quella finanziaria ma quella relativa al settore che stiamo considerando) è stata invocata una nuova nazionalizzazione dell’energia. Richiesta che poi è svanita con la successiva riduzione del costo del petrolio.
Provando a guardare la vicenda con gli occhi di uno storico, gli effetti delle liberalizzazioni sono stati una grande concentrazione delle imprese che producevano o distribuivano energia, una loro espansione verso mercati internazionali con fusioni e acquisizioni e la creazione di giganti industriali.
Se da una parte questi colossi saranno importanti in futuro per contrastare altri giganti industriali, come quello del settore automobilistico in relazione all’auto elettrica, dall’altra non si possono annoverare molti vantaggi per il cittadino. In molti paesi i centri di ricerca sono tornati statali e continuano a essere pagati dai cittadini, il costo dell’energia non ha avuto grandi diminuzioni e la concorrenza non ha stravolto positivamente la qualità dei servizi all’utente finale. Insomma, non è facile capire gli effetti positivi della concorrenza e del libero mercato.
Si è invece aperto un altro mercato dell’energia, quello delle energie rinnovabili le cui imprese, a parità di incentivi statali, competono sulla qualità dei servizi, sul costo dell’impianto installato e sulla manutenzione dello stesso.
Allora possiamo affermare che il mercato delle energie rinnovabili rappresenta la “vera economia di mercato” descritta nei libri di economia e regala a tutti la possibilità di realizzare il sogno di costituire una impresa e, con il valore aggiunto del proprio lavoro e della propria creatività, ingrandirsi e diventare leader del mercato.
Il sogno democratico e la liberalizzazione dell’energia si sta realizzando nella produzione di energia da fonti rinnovabili che, a questo punto, potremo chiamare la vera energia liberale!