APOLOGO DELL’INGEGNERE
E’ indubbio che per capire la storia e il futuro dell’uomo bisogna comprendere il ruolo dell’energia e dell’accesso alle materie prime (compresa l’acqua) nella vita dell’uomo. Quasi tutte le guerre del passato avevano all’origine la disponibilità di queste risorse e, se proviamo a fare scenari futuri, troviamo ancora il problema energetico come il più importante. Gli schiavi sono stati sostituiti dalle macchine, e dall’energia per farle funzionare, ma ancora oggi la competitività industriale deriva spesso dallo sfruttamento di manodopera a basso costo.
Allora, se vogliamo capire il futuro e le strategie politiche che i singoli Stati intendono adottare, dobbiamo analizzare il modo in cui si svolge il dibattito sul futuro dell’energia. In particolare in Cina e nel mondo occidentale.
Diversi anni fa quando decisi di affrontare i temi energetici, per capire le diverse prospettive da cui si guardava al problema, cominciai a partecipare a incontri e dibattiti organizzati da ambientalisti, da lobbisti politici, dal mondo industriale e, ovviamente, da ingegneri.
Non c’è dubbio che per la mia storia professionale mi trovavo molto a mio agio nei dibattiti tecnici in cui le persone cercavano di dare risposte pragmatiche ai problemi che sapevamo si sarebbero presentati a breve (e che oggi sono evidenti). Capivamo che dovevamo concentrarci di più sulla ricerca e avviare nuove collaborazioni con il mondo industriale cercando alternative all’uso di combustibili fossili.
Ma nei paesi in cui le scelte politiche si incentravano sulle liberalizzazioni del mercato dell’energia questo approccio non era il più comune. La competitività delle imprese spesso veniva raggiunta chiudendo i centri ricerca e passando allo Stato il ruolo di finanziare queste strutture. Così i principali convegni sull’energia vedevano come protagonisti avvocati ed economisti mentree gli ingegneri sono stati lentamente espulsi dai processi decisionali.
Anche la storia del Protocollo di Kyoto ha seguito lo stesso destino. Partito da uno spirito ambientalista di tutela del mondo per le generazioni future, il modo in cui è stato strutturato ha lasciato più spazio alla finanza, e al commercio dei titoli finanziari legati all’inquinamento, che alle tecnologie. Se le tecnologie non raggiungevano una propria maturità di mercato, infatti, non venivano prese in considerazione dalla finanza che per sua natura non vuole correre troppi rischi.
Diverso il caso della Cina. All’interno del governo cinese, e nella cerchia ristretta dei decisori, ci sono almeno sette ingegneri provenienti da varie discipline (idraulico, meccanico, elettronico, chimico, petrolifero e tecnologico) e la differenza di politiche energetiche e industriali è del tutto evidente. La Cina si è candidata a essere il polo manifatturiero del mondo e sa che prossimamente vi sarà una forte richiesta di prodotti energeticamente efficienti o di piccoli impianti di produzione di energia rinnovabile. Dopo la prima fase fortemente inquinante, oggi ha varato delle leggi sul rispetto ambientale molto simili alle nostre e sta investendo in energie rinnovabili in misura maggiore rispetto agli americani o agli europei.
Finanza e ingegneria sono due modi diversi di affrontare il problema, ma far prevalere il primo sul secondo porta all’impoverimento dei paesi. In Cina ci sono ogni anno 300.000 nuovi laureati in ingegneria mentre in Germania ormai da un paio di anni non si trovano più sufficienti ingegneri per supportare il mondo produttivo. E le previsioni non sono di inversione di questa tendenza. A parte ogni giudizio di qualità sulla preparazione di questi giovani, non è un caso che la Cina abbia superato la Germania nelle esportazioni e che ormai abbia smesso di copiare i brevetti degli altri.
Se vogliamo che le imprese non si trasferiscano tutte in Cina o se vogliamo continuare a far crescere un tessuto produttivo, quindi, dobbiamo pensare in maniera organica il problema dell’energia e tornare a svolgere un ruolo di guida politico della società e non lasciare alla finanza il ruolo di protagonista assoluto della scena.