La green economy? Non esiste
La sconfitta di Obama alle elezioni di medio termine, ma soprattutto il suo discorso a risultati noti, mi ha fatto riflettere su un concetto che da qualche mese mi rende perplessa.
Obama ha citato la green economy e il fatto che vuole che le auto elettriche si producano negli States. Ma nel suo discorso ha mancato un aspetto chiave.
Così come è stata impostata in occidente, la green economy non esiste ed è diventata un greenwashing di quella tradizionale. Con questa parola intendo quella finanziaria alimentata anche dalle liberalizzazioni senza visione che sono state fatte nel settore dell’energia.
Proviamo allora a fare chiarezza su alcuni punti. Le energie rinnovabili sono ancora in una fase transitoria e non tutte hanno raggiunto una maturità tecnologica tale da poterle considerare come totalmente sostitutive dei sistemi attuali.
Infatti, per favorire gli investimenti privati in ricerca e sviluppo (finanziate in maniera risibile dagli stati nazionali e dalle grandi compagnie energetiche) si è favorita l’installazione di grandi impianti utilizzando la stessa logica distributiva dell’energia tradizionale. Anche tutti i meccanismi di incentivo sono stati messi a punto utilizzando meccanismi finanziari legati alle tradizionali logiche finanziarie delle borse.
La green economy, a questo punto, è soltanto l’economia tradizionale ma con prodotti ecologici.
Diverso è il caso se giudichiamo la green economy da una prospettiva tecnica e ingegneristica. Intanto non ha senso separare il concetto di energia rinnovabile da quello di efficienza energetica. Infatti non si può pensare di produrre energia da impianti a bassa densità energetica (ad esempio il fotovoltaico) e immetterla in vecchie linee di distribuzione monodirezionali che la dissipano. Eppoi, molti tecnici sanno che per ragioni di gestione delle reti, alcune produzioni di energia da fonti rinnovabili (soprattutto quella eolica) non vengono neanche immesse nella rete perché squilibrano il sistema.
Unendo i due concetti (energia rinnovabile ed efficienza energetica), invece, si tenderebbe a realizzare piccoli sistemi indipendenti in cui l’energia viene prodotta, utilizzata, recuperata e ancora utilizzata.
Ma per realizzare questa distribuzione occorre elaborare nuovi concetti industriali legati ad una conoscenza diffusa (università e aggiornamento professionale dei lavoratori), alle politiche industriali (industrie manifatturiere legate alle piccole taglie e alla installazione e gestione di questi piccoli sistemi energetici), alla fiscalità (oggi le maggiori entrate nei bilanci di una nazione provengono dal petrolio e dalle automobili. E occorre rivedere il modo di contabilizzare il benessere, il PIL, ecc..), alla cultura (rivalutazione della cultura industriale e tecnologica a scapito di quella finanziaria e coniugazione di arte e tecnologia) ed infine al diritto (andare a definire l’accesso all’energia come un diritto soggettivo).
Come si può vedere, quindi, la green economy non è il finanziamento agevolato di alcune tecnologie a basso impatto ambientale ma è una visione globale. Una visione che riporta la politica al centro del dibattito. Una politica con basi diverse e che forse potremo definire “green politicy”.