Impoverire le mafie
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di Nerina Dirindin da La Voce.info del 16 Novembre
La settimana scorsa il Senato ha approvato un emendamento alla Finanziaria che consente la vendita dei beni confiscati alle mafie. Don Ciotti ha subito lanciato un appello a tutte le forze politiche perché la proposta, “che rischia di tradursi in un ulteriore regalo alle mafie, venga abolita nel passaggio alla Camera”.
Impoverire le mafie attraverso la confisca dei loro patrimoni è una strategia che aveva già capito bene più di venti anni fa, Pio La Torre, parlamentare ucciso a Palermo nel 1982. Non a caso, la legge che introduce la confisca dei beni mafiosi porta il suo nome, insieme a quello dell’allora ministro dell’Interno, Virginio Rognoni.
Successivamente, le norme introdotte nel 1996, con la legge 109 di iniziativa popolare, sostenuta dalla raccolta di oltre un milione di firme, e nel 2007 con la Finanziaria, prevedono la destinazione a finalità istituzionali o sociali dei beni confiscati. L’utilizzo a fini sociali di tali patrimoni ha un valore rilevante e insostituibile: in primo luogo di riaffermazione dell’autorità dello Stato, che restituisce alle comunità locali i beni illecitamente sottratti dalle organizzazioni criminali. E in secondo luogo di promozione di iniziative sociali (educative, culturali, di lotta all’emarginazione, di sostegno alla legalità, eccetera) volte a ricostruire parte di quel tessuto sociale depauperato dalla criminalità.
La legge attuale prevede che i beni e le aziende dei quali sia stata accertata la proprietà da parte di soggetti appartenenti a organizzazioni mafiose vengano confiscati, cioè sottratti definitivamente ai proprietari, e possano essere destinati a finalità di carattere sociale. Ciò si realizza attraverso l’assegnazione dei beni immobili confiscati a comuni, province, regioni, associazioni di volontariato, cooperative sociali, e cos via per realizzare scuole, comunità di recupero, case per anziani, centri per rifugiati politici, e altro ancora. Frequenti sono anche i casi di terreni destinati a cooperative sociali di giovani, che hanno così modo di avviare una attività lavorativa, di produzione di prodotti agricoli, in territori dove la prossimità fra disoccupazione e criminalità è fattore di rischio per le giovani generazioni.
I beni mobili e le aziende confiscate vengono per lo più trasformati in denaro contante e il ricavato viene versato nel Fondo unico per la giustizia.
Grazie all’attività del commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alla mafia, reintrodotto dal governo Prodi nel 2007 dopo che il governo Berlusconi l’aveva soppresso nel 2003, è possibile oggi avere un quadro sufficientemente chiaro delle dimensioni del fenomeno (i dati sono aggiornati al 30 giugno 2009). Il valore economico dei beni confiscati è molto elevato. Complessivamente, si stima che siano stati destinati beni per un valore di 725 milioni di euro, di cui ben 225 negli ultimi diciotto mesi, grazie all’attività del commissario straordinario, e solo 500 nei dodici anni precedenti. I beni immobili confiscati sono 8.933, di cui ben 46 per cento in Sicilia, 15 per cento in Campania e 15 per cento in Calabria. Di tutti i beni immobili confiscati, il 60 per cento ha già trovato una destinazione: la maggior parte è stata consegnata agli enti locali per finalità sociali, il restante è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali.
Le aziende confiscate alla criminalità sono 1.185, di cui 38 per cento in Sicilia, 19 per cento in Campania e 14 per cento in Lombardia. Operano principalmente nel settore delle costruzioni, della ristorazione e del turismo. Di tutte le aziende confiscate, solo il 33 per cento ha trovato una destinazione: attraverso la vendita o l’affitto e, più frequentemente, attraverso la liquidazione (una azienda su tre risulta infatti già in liquidazione prima della confisca definitiva).
I dati indicano la difficoltà a procedere alladestinazione dei beni confiscati, difficoltà particolarmente rilevanti fino al 2007, mentre in epoca successiva l’azione di coordinamento del commissario straordinario di governo ha notevolmente accelerato laconsegna agli enti locali degli immobili confiscati (vedi grafico). I problemi sono, ancora oggi, legati alla complessità delle procedure(per esempio, inagibilità, ipoteche o procedure giudiziarie in corso, occupazioni, contenziosi causati dalle impugnazioni delle ordinanze di sgombero) e alla carenza di risorse finanziarie per la ristrutturazione dei beni. Al superamento di tali ostacoli dovrebbero in primo luogo essere orientate le azioni del governo. Ma l’emendamento va nella direzione opposta
L’emendamento appena approvato dal Senato prevede che possano essere venduti i beni immobili di cui non sia possibile effettuare la destinazione entro i termini previsti dalla legge, cioè entro novanta giorni dalla proposta dell’Agenzia del demanio, che possono diventare centottanta in casi particolarmente complessi. Viste le difficoltà a portare a termine le procedure di destinazione, la norma abolisce di fatto l’uso sociale dei beni confiscati e ne impedisce la restituzione alle collettività. Anzi, la prevista vendita rischia di favorire la restituzione del patrimonio “alle organizzazioni criminali, capaci di mettere in campo ingegnosi sistemi di intermediari e prestanome e già pronte per riacquistarli, come risulta da molteplici segnali arrivati dai territori più esposti all’influenza dei clan”.
In sintesi, l’emendamento ignora, anzi penalizza, gli sforzi messi in atto negli ultimi anni per accelerare l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati e apre la strada alla vendita alle organizzazioni criminali dei beni a loro sottratti.