Abbiamo perso la saggezza dei vecchi?
"A 16 anni, ho diretto il mio cuore verso l'apprendimento. A trent'anni, avevo delle salde fondamenta. A cinquant'anni, conoscevo i voleri del Cielo. A sessanta, ero pronto ad ascoltarli. A settanta, potevo seguire i desideri del mio cuore senza allontanarmi dalla retta via" (il maestro Kung, Confucio)
Scrivo questo post dopo la lettura di un articolo di Sergio Carrà sul cambiamento climatico apparso recentemente su “La Chimica e l’Industria”. Un giornale tecnico con una certa pretesa di serietà e con Carrà che – a 80 anni di età – si può considerare come il decano della chimica fisica italiana, il campo in cui mi sono formato e nel quale tuttora mi riconosco.
Ebbene, Carrà scrive un articolo dove attacca l’interpretazione corrente del cambiamento climatico antropogenico con una superficialità impressionante. Sembrerebbe basarsi soltanto su aneddoti e su articoli apparsi sulla stampa non specializzata. In più, Carrà sembra ritenere che il proprio prestigio scientifico gli dia il diritto di insultare pesantemente tutti quelli che non la pensano come lui, incluso Luca Mercalli e Pier Giorgio Odifreddi, non nominati esplicitamente, ma perfettamente riconoscibili.
L'articolo non ve lo passo, un po' per una questione di copyright, un po' per non infierire su una persona anziana. Ma permettetemi di fare qualche commento in proposito.
Ho già scritto un articolo intitolato “le attempate spogliarelliste della scienza” in cui criticavo la tendenza di alcuni scienziati anziani di perdere il senso della misura e di lanciarsi in polemiche infondate criticando le teorie che non gli sembrano coincidere con la loro visione del mondo. Ci sono cascati scienziati famosi come James Lovelock e Freeman Dyson; entrambi persone con grandi meriti nel loro campo. In Italia, abbiamo visto recentemente Roberto Vacca, anche lui anziano, partire per la tangente improvvisandosi geologo e cercando di insegnare ai geologi veri la strampalata teoria del “petrolio abiotico”. Adesso, Sergio Carrà si aggiunge alla schiera di quelli che hanno perso il senso dei propri limiti con la sua critica al concetto di riscaldamento globale.
Che cosa dire? Non si può pretendere da una persona che ha passato gli 80 anni di mantenere la lucidità e la creatività di scienziati più giovani. Si potrebbe chiedere, però, di attenersi alle regole che hanno appreso da giovani: che la scienza non si fa con le opinioni personali e nemmeno insultando i colleghi.
Non che non ci siano persone pluriottantenni ancora perfettamente in grado di parlare in modo sensato, ma alle volte ti prende lo sgomento nel vedere questa specie di morbo della superficialità che si diffonde. E, con l’invecchiamento generale della società, sono persone anziane ad avere in mano le leve del potere politico ed economico. Purtroppo, molto spesso queste persone hanno perso la lucidità dei loro tempi migliori e oggi sono diventati solo degli incompetenti aggressivi. Si vede da come vanno le cose in questo paese. Stiamo perdendo per sempre la saggezza dei vecchi?
E’ curioso pensare a come è cambiato il ruolo dei vecchi nei secoli. In un’epoca in cui non c’erano documenti scritti, il loro ruolo era di preservare la saggezza e il ricordo dei tempi passati. I vecchi erano le banche dati del mondo antico. Su questo punto, pensavo di passarvi un pezzetto di un libro che ho scritto e che non ho mai pubblicato. Si intitola “Martirio di un uomo onesto” e descrive la storia di un eroe dimenticato della prima guerra mondiale, Armando Vacca, che fu prima pacifista e poi eroe suo malgrado. Nell’introduzione, parlo della memoria storica dell’umanità e scrivo queste righe. Forse un giorno questa cosa la pubblicherò da qualche parte.
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Da: "Martirio di un'Uomo Onesto"
Di Ugo Bardi -2009
Introduzione: la linea d'ombra della storia
Si dice che gli evangelisti non avessero mai conosciuto Gesù Cristo, ma soltanto persone che lo avevano conosciuto. Si dice anche che Omero non compose l’Iliade dalla sua esperienza, ma da storie che coloro che l’hanno combattuta gli avevano raccontato. Sia gli evangelisti che Omero hanno salvato la memoria di eventi che, altrimenti, sarebbero stati dimenticati; i primi mettendolo per scritto, il secondo raccontandolo in rima in un poema che ci è arrivato quasi intatto nei millenni.
Ma non sempre questo è possibile. Gli antropologi hanno trovato molte volte studiando i popoli che non hanno letteratura scritta che la memoria degli eventi del passato per loro non si estende a oltre un secolo o giù di li. Sembra che questa estensione di tempo copra più o meno la relazione che c’è fra nonno e nipote. Nel passato, erano i vecchi che custodivano la memoria delle cose, fin quando potevano. Oltre il limite di due generazioni, l'evento spariva al di la della barriera della memoria. Era la linea d'ombra della storia che segnava il limite di quello che i vecchi potevano ricordarsi di aver sentito dire dai loro vecchi. Al di la della linea d'ombra, gli eventi venivano consegnati all'universo dei miti e delle leggende.
Questa è l'eredità che i vecchi ci hanno lasciato in decine di migliaia di anni. Della memoria di tutto questo tempo, di migliaia di generazioni di esseri umani che sono nate e vissute prima di noi, rimangono miti e leggende. Di tutti gli eventi che si sono verificati, battaglie, amori, lotte, viaggi e scoperte, tutto è stato compresso nell’universo dei miti che ci rimane oggi. E’ il “dreamtime”, il tempo dei sogni degli indigeni australiani, un universo di eroi e mostri, dei e demoni, draghi e chimere, tutti insieme in una forma che è sempre la stessa, ma con mille volti.
Ci sono molte conferme dell'esistenza di questa linea d'ombra della storia. Per esempio, negli anni 1960 il giornalista Piero Angela andò a intervistare gli anziani dei villaggi vicino a Waterloo per vedere se si era mantenuta qualche memoria dell’ultima battaglia di Napoleone, nel 1815. Ne trovò uno che si ricordava ancora di quello che gli aveva raccontato suo nonno che, da bambino, aveva visto seppellire migliaia di cadaveri in fosse comuni. A centocinquanta anni di distanza, rimaneva ancora qualche traccia di quella grande battaglia nella memoria umana, ma da quella soltanto non sarebbe stato possibile sapere nè chi l’aveva combattuta nè perché. La battaglia di Waterloo era già pronta per essere consegnata all'universo dei miti, e lo sarebbe stata se non avessimo documenti scritti che ce ne conservano i dettagli.
Nelle sue “Memorie di Adriano” Marguerite Yourcenar ha tentato di ritrovare i pensieri e i sentimenti di un imperatore romano vissuto quasi duemila anni prima di lei. Ha raccontato che per farsi un’idea di quell’immenso periodo di tempo cercava di immaginare un certo numero di vecchi che si tenevano per mano a simboleggiare le generazioni passate. Per arrivare da lei a Adriano, doveva immaginarsene una fila di circa 25. Per me, arrivare alla prima guerra mondiale richiedeva soltanto immaginare mio nonno che mi teneva per mano. Mio nonno era un uomo mite e gentile che non aveva grandi storie di guerra da raccontare, a parte quella di essere stato mandato sulla linea del Piave, nel 1917, con un fucile, una baionetta, e niente munizioni. Questa di mio nonno è un po' di quello che ci resta della Grande Guerra, un po' di quello che non è ancora passato al di la' della linea d'ombra. Questo è quello che cerco di raccontare in questo libro.