La febbre dell’oro, la febbre dell’argento
«Potosì, Guanajuato e Zacateras mangiavano indigeni (1).
Ouro Preto (2) mangiava neri.
In terra spagnola rimbalzava l'argento che proveniva dal lavoro forzato degli indios d'America. A Siviglia, l'argento era di passaggio. Andava a finire nella pancia dei banchieri fiamminghi, tedeschi, e genovesi, e dei mercanti fiorentini, inglesi e farncesi, che enevano ipotecata la corona spagnola con tutte le sue entrate.
Senza l'argento della Bolivia e del Messico, ponte di argento che attraversò il mare, l'Europa avrebbe potuto essere l'Europa?
In terra portoghese rimbalzava l'oro che proveniva dal lavoro degli schiavi in Brasile. A Lisbona, l'oro era di passaggio. Andava a finire nella pancia dei banchieri e dei mercanti britannici, creditori del regno, che tenevano ipotecata la corona portoghese e tutte le sue entrate.
Senza l'oro del Brasile, ponte d'oro che attraversoò il mare, sarebbe mai stata possibile la rivoluzione industriale in Inghilterra?
E senza la compravendita dei neri, Liverpool sarebbe forse stato il porto più importante del mondo e l'impresa Lloyd's la regina delle assicurazioni?
Senza i capitali del traffico negriero, chi mai avrebbe finanziato la macchina a vapore di James Watt? In che forni sarebbero stati fabbricati i cannoni di George Washington?»
Eduardo Galeano, Specchi. Una storia quasi universale, Milano 2008, pp 163-164
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