Rivoluzione verde o rivoluzione fossile?
La scomparsa di Norman Borlaug, avvenuta qualche settimana fa, ha riportato l'attenzione dei media alla cosiddetta rivoluzione verde, cioè al grande cambio di paradigma in agricoltura avvenuto nel dopoguerra.
Mi è capitato spesso di leggere valutazioni entusiaste di questa rivoluzione verde, osannando alla nostra grande tecnologia in grado di vincere la fame nel mondo.
Forse se si abbandonasse l'ideologia dell'agribusiness e ci si limitasse ad analizzare i fatti, si scoprirebbe che:
- non solo la fame nel mondo non è stata vinta, ma a partire dal 2000, il numero di malnutriti è tornato a crescere, superando il miliardo;
- come si vede nel grafico in alto, nei paesi poveri come l'India, l'aumento della produzione agricola è stato ottenuto al costo di un enorme aumento della quantità di fertilizzante chimico di origine fossile. Insomma, non tecnologia, ma forza bruta.
Tra il 1961 e il 2007, in India la produzione agricola complessiva è aumentata di quasi tre volte, ma l'uso di fertilizzanti fossili è cresciuto di 50 volte!
In altre parole, nel 1961 occorrevano 3 kg di fertilizzante per ottenere 1 tonnellata di prodotti agricoli, mentre oggi occorrono 50 kg.
E' abbastanza evidente come tutto ciò sia perfettamente insostenibile.
Fino a che punto l'India,la Cina e gli altri paesi altamente popolati intendono proseguire sulla strada dell'agricoltura industriale, che consuma risorse non rinnovabili e acqua, provocando la salinizzazione e la morte dei suoli?
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