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WWF: il cemento si mangia la biodiversità, ma ci sono perle inattese

20 marzo 2009 0 commenti
foto Newpress

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<In Italia, così come in Europa _ scrive il Wwf  _ l’occupazione di territorio libero da parte di infrastrutture viarie e insediamenti umani, è cresciuto esponenzialmente, consumando così una risorsa irrecuperabile: il territorio libero capace di mantenere ecosistemi vitali e funzionanti per il benessere nostro e del pianeta. La maggior parte delle forme di consumo del suolo sono irreversibili, ma è bene considerare comunque che il suolo è una risorsa rinnovabile con tempi estremamente lunghe e anche qualora gli interventi occupazione antropica vengano rimossi, il substrato fertile, la vegetazione e le specie animali non sono spesso ripristinabili.

Ci sono ambienti che hanno subito l’occupazione da parte delle infrastrutture umane di più di altre: le pianure, le coste e le aree agricole.

Secondo i censimenti agricoli del 1950 e del 2005 mancano oggi all’appello più di 3,5 milioni di ettari di superficie libera da infrastrutture e costruzioni: un territorio più grande dell’Abruzzo e del Lazio messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade.

Nei secoli precedenti la crescita delle città era unicamente collegata alla crescita della popolazione urbana. Al contrario oggi in Europa, dove la crescita demografica è molto ridotta o assente, l’urbanizzazione è un fattore fuori controllo guidata dal benessere (uso delle seconde case), dagli investimenti e dall’incredibile sviluppo che ha avuto la mobilità e i trasporti in generale e da molti altri micro e macro fattori socio economici.

Oltre ad alterare in modo irreversibile la vitalità degli ecosistemi naturali e i loro servizi essenziali al mantenimento della vita sul pianeta, l’urbanizzazione altera in modo irreversibile le proprietà del suolo, riducendo le sue principali funzioni: perdita della permeabilità del suolo (e quindi riduzione della capacità di ricarica delle falde acquifere), perdita di biodiversità del suolo e riduzione delle capacità del suolo di funzionare come carbon sink, modificazioni climatiche con l’aumento della temperatura media annua, distruzione e frammentazione di habitat di specie di importanza internazionale, aumento della presenza di metalli pesanti e altri inquinanti nell’acqua piovana raccolta da cemento e asfalto e, in sintesi, una riduzione complessiva della capacità ecologica degli ecosistemi di resistere a disturbi e perturbazioni.

La situazione in Italia. Per definire un quadro ragionevolmente aggiornato della situazione del consumo del suolo in Italia, sono utili due approcci proposti negli ultimi anni da gruppi di ricerca di due Università italiane. L’unità di ricerca di Analisi Insediativa e Pianificazione, facente capo all’Università dell’Aquila e coordinata dal professor Bernardino Romano ha condotto una ricognizione territoriale finalizzata ad evidenziare e a misurare l’interferenza ecosistemica delle aree urbanizzate e del sistema infrastrutturale, sia nella loro fisionomia corrente, sia in quella tendenziale, individuando i “paesaggi della frammentazione”, sulla base delle Unità di Paesaggio, ovvero delle porzioni di territorio omogenee in cui è stata divisa l’Italia.

La ricerca ha prodotto la Carta della dispersione insediativa, intesa come numero di nuclei insediativi per unità di paesaggio, la Carta della densità di dispersione insediativa, intesa come rapporto tra numero di nuclei insediativi e superficie dell’unità di paesaggio e la Carta della densità urbana, intesa come rapporto tra la superficie di territorio urbanizzato e la superficie totale dell’unità di paesaggio.

Quest’ultima carta dà forse un’immagine più chiara di quale sia la situazione del nostro territorio, con unità di paesaggio che hanno oltre il 75% della superficie urbanizzata. Teniamo presente che quando un territorio ha oltre il 10% del territorio occupato già viene compromessa la sua capacità di ospitare valori di biodiversità significativi.

Un secondo studio dal titolo Land use and misure: landscape changes in Italy since 1950 realizzato da Alessandra Falcucci e Luigi Maiorano del Dipartimento Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università degli Studi ‘La Sapienza’ di Roma ci permette di avere invece un’immagine dinamica di quello che successo negli ultimi 60 anni. Utilizzando tre carte di uso del suolo (realizzate dal 1960 al 2000), gli Autori hanno analizzato i cambiamenti nell’uso del suolo.

I risultati sono molto interessanti: è stato misurato un incremento netto nelle foreste nelle aree montuose e delle aree artificiali lungo la linea costiera e un incremento netto dei pascoli. Le coltivazioni intensive sono modestamente diminuite, mentre sono marcatamente diminuite le aree a coltivazione estensiva. Nello stesso periodo di tempo numerose specie di uccelli e mammiferi studiate hanno mostrato cambiamenti nella distribuzione correlate alle trasformazioni del paesaggio, con specie forestali che sono aumentate in numero e distribuzione e specie tipicamente mediterranee in diminuzione.

I risultati ottenuti possono fornire importanti indicazioni per l’adozione di strategie efficaci di conservazione degli habitat.

La biodiversità che non t’aspetti. In Italia sono presenti porzioni di territorio che mantengono per motivi geomorfologici, ecologici, paesaggistici, di bassa antropizzazione, una notevole importanza nel quadro di una efficace strategia di conservazione della biodiversità. Molti purtroppo non risultano sottoposte ad alcuna forma di tutela o presentano uno status di tutela solo formale e inefficace.

L’individuazione e l’analisi di queste aree, spesso decisive per ridurre i fenomeni di frammentazione degli habitat e di consumo del suolo, può essere ottenuta utilizzando tre diversi approcci.

Un approccio molto interessante è proposta nel lavoro dal titolo Contribution of the Natura 2000 Network to Biodiversity Conservation in Italy sviluppato da Luigi Maiorano, Alessandra Falcucci, Edward O. Garton e Luigi Boitani del Dip.to Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università degli Studi ‘La Sapienza’ di Roma e dal Department of Fish and Wildlife, University of Idaho, Moscow, USA. Gli Autori hanno utilizzato modelli di idoneità ambientale per 468 specie di vertebrati (uccelli, mammiferi, anfibi e rettili) e attraverso essi hanno valutato il contributo della Rete Natura 2000 per la conservazione della biodiversità in Italia.

È stata inoltre valutata l’idoneità della Rete Natura 2000 a mantenere o migliorare lo status delle popolazioni delle specie individuate. Ne è risultato che aree con un elevato numero di specie risultano prive di adeguate misure di conservazione ed oltre che il 50% di aree individuate come “altamente insostituibile” per il ruolo ecologico che ricoprono, non sono integrate nella rete Natura 2000.

Un secondo approccio proposto dal WWF stesso, parte dalle aree prioritarie individuate con l’applicazione della Conservazione Ecoregionale per le Alpi e il Mediterraneo centrale (V. Biodiveristy Vision Ecoregione Alpi e Ecoregione Mediterraneo Centrale), mette in evidenza le porzioni di territorio non sottoposto a forme di tutela (parchi, riserve naturali, siti Natura 2000, ecc.) e in particolare tutte quelle aree che risultano a basso impatto antropico, ovvero lontane da centri abitati, infrastrutture viarie e insediamenti industriali.

Infine crediamo sia utile andare ad individuare aree del territorio italiano che sono importanti per la biodiversità, spesso poco conosciute e che non sono sottoposte a forme efficaci di tutela. Questo può essere fatto attraverso un processo di consultazione, forse meno scientifico, ma comunque efficace cosiddetto ‘expert-based’.

Incrociando i risultati delle tre elaborazioni proposte, le aree di grande interesse per al conservazione della biodiversità e “incredibilmente” rimaste non colpite dal grande male della cementificazione e da forme impattanti di consumo del suolo sono:

  • l’area dei Monti della Tolfa e Maremma tosco-laziale,
  • l’area dello Stretto di Messina,
  • il Santuario dei cetacei ‘Pelagos’,
  • il comprensorio del Gennargentu,
  • l’area internazionale delle Bocche di Bonifacio,
  • la parte più settentrionale dell’Appennino tosco-emiliano,
  • l’area cuneo-savonese>.

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