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Franco Casali: “Non siamo a Chernobyl, oggi i reattori sono sicuri”

23 dicembre 2009 0 commenti

cheMILANO – Il problema centrale di un reattore è la sicurezza. “Chernobyl era dentro un capannone, i reattori che si costruiscono oggi in Europa sono dentro tre gusci di cemento armato spessi diversi metri, non c’è nessuna relazione fra le due strutture”, spiega Franco Casali, esperto di impiantistica nucleare, progettista dei due bunker più grandi d’Italia per radiografie ad alta energia, uno dei quali viene ancora utilizzato dai tecnici di Fiat Avio per le radiografie dei razzi di partenza dell’Ariane 5, dirigente Enea e professore di Fisica dei Reattori Nucleari a Bologna per più di vent’anni.

Ma allora, se erano davvero così sicuri, perché abbiamo spento i nostri reattori?
Non lo chieda a me. Nell’Unione Europea, con 150 centrali nucleari in funzione, non è mai avvenuto un incidente degno di nota in cinquant’anni. L’Italia negli anni Sessanta era all’avanguardia in questa tecnologia, nata peraltro nella testa di un italiano, Enrico Fermi. Nel ‘65 avevamo già tre reattori in funzione, a Latina, sul Garigliano in provincia di Caserta e a Trino Vercellese: eravamo praticamente allo stesso livello della Francia. Nel ‘77 si è aggiunta la centrale di Caorso, con i suoi 700 megawatt la prima di dimensioni analoghe a quelle dei reattori attuali”.

Come sono finiti questi reattori?
Sono stati tutti spenti dopo il referendum dell’87. Una vera assurdità per delle centrali nucleari, che comportano un costo molto alto all’inizio ma poi funzionano quasi gratis per cinquanta o sessant’anni. Così ci siamo accollati tutto il costo e abbiamo perso grandissima parte del vantaggio. In particolare per Caorso, che è rimasta accesa solo dieci anni”.

E Montalto di Castro?
Quella è stata un’assurdità ancora più grande: era quasi pronta quando c’è stato il referendum e non è nemmeno mai entrata in funzione. Abbiamo speso 7mila miliardi di lire per niente!”

Gli altri europei, invece, come hanno reagito dopo Chernobyl?
“Alcuni, come i francesi o gli inglesi, hanno continuato a costruire centrali nucleari: in Francia ce ne sono 59. Altri, come i tedeschi o gli svedesi, hanno deciso di non costruirne di nuove. Ma adesso gli svedesi ci hanno ripensato e anche i tedeschi stanno cambiando idea. Nessuno, comunque, ha spento le centrali che aveva: hanno continuato a usarle come prima”.

Ma vale la pena, oggi, di affrontare questa spesa?
Nella peggiore delle ipotesi, una centrale nucleare come quella che si sta costruendo in Francia, a Flamanville, si ammortizza in trent’anni e produce energia elettrica per sessanta: la seconda metà della sua vita, dunque, è un guadagno netto. Al contrario di una centrale che brucia idrocarburi, il combustibile incide pochissimo e le forniture non sono un problema: l’uranio è molto diffuso nel mondo e comunque se ne utilizza poco. Basti pensare che se tutta l’energia elettrica consumata in Italia si producesse per trent’anni con il nucleare, le scorie prodotte coprirebbero un campo da tennis per l’altezza di un metro!”.

di Elena Comelli