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Rifiuti, maxioperazione contro il traffico illecito: 17 arresti e 20 aziende coinvolte

9 febbraio 2010 0 commenti

L’hanno chiamata: operazione rifiuti dorati. Coordinata dalla Procura della Repubblica di Grosseto e condotta dai Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, ha fermato un’organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti speciali, anche pericolosi, costituita in Toscana ed avente diramazioni in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Campania, Lazio, Abruzzo e Sardegna: 17 gli arresti (6 in carcere e 9 ai domiciliari), tra legali rappresentanti, presidenti di c.d.a., direttori generali, responsabili tecnici, soci, responsabili di laboratorio, chimici e dipendenti delle società coinvolte.
“Complessivamente – spiega il Comando Carabinieri per la tutela dell`ambiente in una nota – nell’ambito dell’operazione “Golden rubbish” sono state denunciate all`autorità giudiziaria 61 persone, responsabili a vario titolo dei reati di associazione per delinquere, omicidio colposo, lesioni personali colpose, incendio, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, gestione non autorizzata di rifiuti, falsità in registri e notificazioni e falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”.

Tra gli indagati c’è anche Steno Marcegaglia, presidente dell’omonimo gruppo e padre della presidente della Confindustria Emma. Il coinvolgimento di Steno Marcegaglia e’ stato determinato proprio dalla carica da lui ricoperta nel gruppo ed e’ riconducibile al filone di indagine che riguarda la Made Hse, azienda di consulenza del gruppo mantovano, che – secondo gli inquirenti – avrebbe favorito lo smaltimento di rifiuti pericolosi classificandoli come non pericolosi.

L’indagine, originata da uno stralcio di una inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli concernente la movimentazione dei rifiuti prodotti dalla bonifica del sito contaminato di Bagnoli, si e’ sviluppata in Toscana, individuata quale destinazione finale dei rifiuti. Dalle attivita’ investigative svolte dal Noe di Grosseto (in collaborazione con altri Nuclei del centro e nord Italia) e’ emerso come la struttura organizzativa era imperniata sul ruolo di una societa’ di intermediazione maremmana, proprietaria anche di un impianto di trattamento, la quale, avvalendosi di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, regolava e gestiva i flussi dei rifiuti; cio’ avveniva attraverso una sistematica falsificazione di certificati di analisi, formulari di identificazione e registri di carico e scarico al fine dell’attribuzione di codici di rifiuto non corretti, cosi’ da poter essere dirottati soprattutto in siti di destinazione finale compiacenti ubicati in Toscana, Trentino-Alto Adige ed Emilia Romagna.

Sono diversi i filoni investigativi, tra i quali spicca quello relativo all’esplosione seguita da incendio all’interno di un impianto di Scarlino (Gr), autorizzato per il trattamento di rifiuti non pericolosi, che ha provocato il decesso di un operaio ed il ferimento di un altro. La societa’ toscana nel proprio impianto gestiva illecitamente anche rifiuti pericolosi, tra i quali grossi quantitativi di bombolette spray contenenti gas propano liquido altamente infiammabile prodotti da un’importante multinazionale operante nel settore dei cosmetici e provenienti da un magazzino lombardo, privi di alcuna analisi preventiva o caratterizzazione, riportanti codici per rifiuti non pericolosi, manifestamente irregolari. Il giorno della tragedia, la triturazione non corretta di circa 100 tonnellate di tali bombolette provocava la fuoriuscita dei gas contenuti all’interno delle stesse, producendo una miscela esplosiva pericolosissima che causava la forte deflagrazione. La portata del disastro emergeva anche dal fatto che i Vigili del Fuoco, per domare le fiamme e bonificare l’intera area, avevano impiegato quasi una settimana di lavoro. Sull’esplosione le ipotesi investigative del Noe sopra descritte avevano trovato pieno riscontro con gli accertamenti tecnici svolti dal Nia dei Vigili del Fuoco di Roma, Nucleo competente ad analizzare tali tipologie di eventi

L’impianto di trattamento di Scarlino veniva inoltre utilizzato per smaltire illecitamente rifiuti pericolosi, costituiti principalmente da terre e rocce provenienti dalle bonifiche di distributori di carburante. Emergeva soprattutto che, senza che fosse effettuata alcuna operazione di carico e scarico dei rifiuti e di conseguenza senza l’effettuazione di operazioni di trattamento o di inertizzazione, anche in questo caso cambiando solamente i dati dei formulari di identificazione dei rifiuti (cosiddetto “giro bolla”) ed utilizzando false certificazioni analitiche, lo smaltimento di rifiuti pericolosi avveniva in discariche per rifiuti non pericolosi, permettendo l’abbattimento dei costi di gestione e, in parte, l’elusione dell’ecotassa. Altro filone investigativo e’ quello concernente una nota industria metallurgica di Ravenna, la quale aveva la necessita’ di smaltire un cumulo di quasi 100.000 metri cubi di rifiuti, abbancati in un’area interna allo stabilimento, ubicato in un’area industriale gia’ adibita a polo petrolchimico. Il cumulo di rifiuti in questione risultava essere originato da lavori di sbancamento effettuati nel corso di vari anni e contaminato da mercurio, idrocarburi e da altri inquinanti, provenienti dalle pregresse attivita’ svolte in loco. La societa’ di intermediazione si aggiudicava l’appalto per la gestione dei rifiuti ed effettuava il loro smaltimento in modo illecito, attraverso la predisposizione di falsi certificati di analisi redatti da un laboratorio di pertinenza del produttore del rifiuto, destinandoli in siti non idonei a riceverli, con conseguente notevole risparmio sui costi di smaltimento.