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Idrogeno, studi italiani ci svelano come la natura lo produce

25 marzo 2010 0 commenti

Un distributore di IdrogenoChe fosse possibile produrre idrogeno molecolare – cioè utilizzabile come combustibile – in natura era già noto. Ciò che non si conosceva era il procedimento attraverso il quale alcuni enzimi vi riuscissero. La chiave del “mistero” sono le ferro-idrogenasi, enzimi capaci di catalizzare e produrre l’idrogeno in maniera molto efficiente.

 

 

 

Ora, due studi condotti da alcuni ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, coordinati dal professor Luca De Gioia, hanno svelato con precisione alcuni aspetti fondamentali del meccanismo attraverso il quale le molecole di ferro-idrogenasi, utilizzando ioni di ferro, riescano sia a produrre idrogeno molecolare, sia a comportarsi come delle vere e proprie celle a combustibile convertendolo in energia.

 

Le ricerche, alle quali ha partecipato anche l’Università svedese di Lund, sono state pubblicate questa settimana sul sito del Journal of the American Chemical Society. In particolare, sono stati chiariti due aspetti chiave della chimica delle ferro-idrogenasi. Prima di tutto, attraverso calcoli molto raffinati, è stato dimostrato che l’enzima possiede un atomo di azoto posizionato in modo funzionale al rapido trasferimento dei protoni verso il sito attivo, ossia l’area dell’enzima nella quale si verifica la reazione di produzione di idrogeno.

Inoltre, lo studio ha dimostrato che l’efficienza di questi enzimi nella produzione di idrogeno molecolare e nella sua trasformazione in energia dipende strettamente dalla presenza degli ioni cianuro nelle ferro-idrogenasi.

 

 “Far luce sul ruolo svolto dai vari componenti presenti nel sito attivo delle idrogenasi – ha detto Luca De Gioia, professore di Chimica Generale dell’’Università di Milano Bicocca e coordinatore del progetto – permette di avere una migliore comprensione dei processi metabolici alla base della produzione biologica di idrogeno molecolare. Inoltre, dischiude nuovi e promettenti scenari per la progettazione di catalizzatori di nuova generazione e per il loro utilizzo nelle batterie a combustibile del futuro”.

 

“Lo studio di questi enzimi – ha aggiunto Maurizio Bruschi e Claudio Greco, ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca che fanno parte del team – rappresenta un emozionante viaggio tra i processi metabolici che hanno accompagnato lo sviluppo della vita sulla Terra”. Infatti, recenti studi hanno svelato che l’atmosfera del nostro pianeta conteneva idrogeno all’epoca della comparsa dei primi organismi viventi. La diffusione delle idrogenasi tra innumerevoli classi di organismi diversi, anche arcaici, testimonia la versatilità della natura nell’utilizzo delle risorse energetiche, un esempio di cui è importante fare tesoro”.

 

La realizzazione delle attuali celle a combustibile richiede metalli rari (e quindi estremamente costosi) quali platino e palladio. Questo è uno dei motivi che hanno sinora reso difficile e oneroso un vero e proprio decollo dell’idrogeno come fonte di energia. Per fare un esempio concreto, anche se l’elevato costo del platino necessario è solo una frazione del costo di fabbricazione delle celle a combustibile, basta pensare che la sostituzione di tutto il parco veicoli mondiale con veicoli alimentati a idrogeno richiederebbe una quantità di platino ampiamente superiore alle riserve planetarie. Risulta quindi fondamentale la progettazione di celle a combustibile basate su metalli abbondanti e poco costosi, quali ad esempio il ferro.

 

Ai vantaggi economici si aggiungono quelli ambientali: il reperimento dei metalli preziosi è anch’esso fonte di inquinamento, derivato dallo sfruttamento delle miniere. Inoltre, l’idrogeno, non presente in natura allo stato molecolare, deve essere per forza ottenuto tramite procedure chimiche, oppure utilizzando sostanze ad elevato contenuto energetico come i combustibili fossili.

Tuttavia, questi metodi, oltre ad esaurire risorse non rinnovabili, generano CO2 in elevate quantità, aggravando l’effetto serra. La sostituzione di questi processi con metodi che utilizzano microrganismi come batteri o microalghe, che sfruttano una reazione metabolica come quella delle idrogenasi, abbatterebbe completamente il rilascio in atmosfera di CO2. L’applicazione più nota al grande pubblico delle celle a combustibile è l’auto a idrogeno, ma esse possono essere utilizzate nei più svariati settori, dalle batterie per cellulari alle centrali elettriche.