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Marea nera: domani arriva Obama. Meglio tardi che mai

1 maggio 2010 0 commenti

E ora arriva anche Obama. Il presidente visiterà le zone colpita domani mattina e si recherà in elicottero sopra la marea nera. Il tentativo di recuperare contrasta però con i ritardi dell’amministrazione americana nel far fronte al problema. la prima settimana tutto lo sforzo di contenimento è stato lasciato alla Bp (che pur operando con decisione per eliminare una falla che rischiava di costarle miliardi di dollari, ha cercato di minimizzare mediaticamente la portata dell’incidente) e, per quanto riguarda la vigilanza e il controllo della marea nera, alla Guardia Costiera.

Solo giovedì, una settimana dopo l’affondamento della piattaforma della Bp, il Department of homeland security _ il ministero dell’interno americano _ si è deciso a dichiarare la fuga di petrolio una “emergenza di livello nazionale” e solo il giorno dopo ha coinvolto il Dipartimento della Difesa per chiedere mezzi da utilizzare per cercare di contenere la fuga di petrolio. Troppo tardi, troppo poco, in quella che sembra una replica della disastrosa risposta dell’amministrazione Bush alla tragedia dell’uragano Katrina.

Intanto la marea nera continua a raggiungere le coste: fortunatamente per ora arrivano bracci secondari e non il grosso della macchia. Il tentativo di bloccarli con le benne galleggianti ha spesso successo. Ma è solo una questione di tempo. Ne arriverà di più. E infatti anche Alabama e Mississippi, come già avevano deciso Louisiana e Florida, hanno dichiarato lo stato di emergenza per la marea di petrolio proveniente dalla piattaforma affondata nel Golfo del Messico e arrivata ormai davanti alle coste.

Da notare che la British Petroleum aveva minimizzato e virtualmente escluso la possibilità di un incidente sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che invece, sprofondando nelle acque del Golfo del Messico, ha provocato una marea nera potenzialmente più grave di quella della Exxon Valdez. In un documento di 52 pagine del febbraio 2009, di cui l’Associated Press ha ottenuto copia, la BP indica a più riprese che è “improbabile o virtualmente impossibile” che un incidente sulla piattaforma, situata ad 80 chilometri dalla costa, possa provocare una marea nera o nuocere gravemente alle spiagge, pesci, mammiferi o alle attività di pesca nella regione. Nell’analisi dei rischi dello sfruttamento dei pozzi della Deepwater Horizon, presentata al Servizio federale della gestione delle risorse minerarie (MMS), il gruppo britannico sostiene che “è improbabile che si verifichi uno sversamento accidentale di petrolio in superficie o sott’acqua a causa delle attività proposte”. Pur ammettendo che un’eventuale marea nera “avrebbe un impatto” sulle coste e sulle riserve naturali del delta del Mississippi, BP assicura che data la distanza dal litorale e la capacità di reazione che sarebbe immediatamente attivata, “non si prevede alcun impatto negativo significativo”. Una colpevole sottovalutazione.

Il servizio della Tv americana MSNBC

Sinora i tentativi si bloccare la fuga di petrolio _ 5 mila barili al giorno da tre distinte falle _ sono andati a vuoto. I quattro robot sottomarini telecomandanti stanno ancora cercado di ottenere la chiusura della valvola _ blowout preventer _ che avrebbe dovuto interrompere il flusso di petrolio in caso di incidente, ma al tempo stessi si è avviata la ricerca di una struttura in acciaio, a forma di cupola, che possa essere installata sopra la testa del pozzo per poi procedere a pompare il petrolio che fuoriesce. Ma non si sa se e quando _ si stimano da 2 a 4 settimane _ sarà possibile trovare un apparato del genere. Per questo stamani la Bp ha avviato le operazioni di scavo del pozzo che dovrebbe “intercettare” quello dove è avvenuta l’esplosione, per poi sigillarlo con cemento. Tempo necessario? Da due a tre mesi. Il che significherebbe una dispersione di petrolio nell’ambiente tra i 300 mila a 450 mila barili aggiuntivi rispetto ad oggi. Una prospettiva davvero agghiacciante.

(alessandro farruggia)