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Marea nera, 17 paesi in aiuto degli Usa. Per ora manca l’Italia. Critica la situazione sulla costa, polemiche sui soccorsi

15 giugno 2010 0 commenti

USA GULF OIL SPILLSono diciassette i paesi che hanno offerto il proprio contributo agli Stati Uniti impegnati in una dura lotta contro la cosiddetta ‘marea nera’, ovvero l’enorme quantità di petrolio fuoriuscito da una piattaforma di British Petroleum nel Golfo del Messico. Lo ha annunciato il dipartimento di Stato Usa, che ha reso noto l’elenco dei paesi contributori: Corea del Sud, Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Romania, Russia, Svezia, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Vietnam Spagna, Canada e Messico. Assente, almeno per il momento, l’Italia.

Oltre all’impegno dei singoli stati, si legge in un comunicato del Dipartimento di Stato, hanno offerto un contributo anche l’Agenzia Europea per la sicurezza Marittima, il Centro di Informazione e Monitoraggio della Commissione europea, l’Organizzazione marittima internazionale, l’Unità per l’Ambiente dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Aiuti umanitari e il Programma per l’Ambiente dell’Onu.

“Gli Stati Uniti ringraziano per le offerte di aiuto ricevute da 17 paesi e quattro entità internazionali nella forma di equipe, esperti e aiuti generici”, ha riferito il dipartimento di Stato nella nota. La diplomazia Usa, in particolare, ha fatto sapere che singoli paesi e organizzazioni hanno messo a disposizione studiosi dell’impatto ambientale, esperti nelle indagini e tecnici del settore.

“Con poche eccezioni, queste offerte internazionali di assistenza sono rimborsabili, la qual cosa significa che avranno luogo solo se pagate da chi li riceve”, ha segnalato il dipartimento di Stato. Tutte le offerte, comunque, “sono gradite enormemente dal popolo statunitense nel momento in cui stiamo cercando di risolvere questa minaccia al nostro litorale del Golfo”, ha insistito Washington.

PROBLEMI ANCHE SULLA COSTA

Per la maggior parte degli ultimi due mesi l’attenzione si è concentrata sugli sforzi fatti sott’acqua, a 1500 metri di profondità e a 80 chilometri dalle coste, dove diversi tentativi di bloccare la falla da cui fuoriesce il petrolio nel Golfo del Messico sono falliti. Ora una specie di calotta sta contenendo almeno in parte il greggio ma telecamere sottomarine mostrano che ancora parecchio petrolio viene disperso ogni giorno.

Ma anche sulle coste, gli sforzi per fermare la marea nera non hanno dato grandi frutti finora, nonostante le migliaia di barche, le decine di migliaia di persone coinvolti e i chilometri di ‘cordoli’ per fermare la chiazza in superficie. Fin dall’inizio, scrive il New York Times, queste forze non sono state organizzate e gestite nel modo giusto, sia da parte delle autorità federali, locali che da parte di Bp, responsabile del disastro. “Il sistema non funziona”, ha detto giovedì scorso il senatore della Florida Bill Nelson, durante un’audizione al Congresso. “E come risultato c’è una grande confusione, mancano ordine e controllo”, ha continuato.

E pensare che proprio un anno dopo il precedente e simile grande incidente ecologico, quello della petroliera Exxon Valdez sulle coste dell’Alaska nel 1989, era stata approvata una legge federale, l’Oil Pollution Act, per garantire una risposta pronta ed efficace in casi come questi. La legge aveva dato vita a un fondo, l’Oil Spill Liability Trust Fund, per far fronte alle spese dell’incidente fino a un miliardo di dollari. Ogni regione, inoltre, dovrebbe avere un piano per rispondere a eventuali maree nere. Coloro che criticano la reazione del governo di fronte a questa crisi sostengono che non si doveva aspettare di vedere quali fossero le risposte della Bp e se funzionavano, ma bisognava prendere la situazione in mano e dire alla compagnia petrolifera che cosa andava fatto ed entro quanto tempo.