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Veterinari sbagliano e gli uccidono il cane, ma per il giudice non c’è danno morale

14 settembre 2010 0 commenti

Siberian_huskyLa compagnia che un cane regala all’uomo nel corso della vita e il rapporto di affetto che si crea tra i due non sono un ”diritto inviolabile della persona”. E se il ‘fedele amico’ muore per un’operazione chirurgica sbagliata da parte del veterinario, il padrone dell’ animale, quindi, non subisce una ”lesione di un interesse della persona umana” costituzionalmente protetto e non puo’ pretendere un risarcimento per il danno morale. E’ il principio stabilito in una sentenza del Tribunale civile di Milano con cui e’ stato respinto il ricorso di una donna che chiedeva la condanna al risarcimento del danno morale per due veterinari che con un intervento errato avevano fatto morire la sua cagnolina.

La sentenza non e’ piaciuta affatto al sottosegretario alla Salute, Francesca Martini. ”Mi auguro che in tempi brevissimi qualche altra sezione di tribunale corregga la rotta – ha spiegato – Cio’ che piu’ mi sconcerta e’ la motivazione della sentenza”. Altre critiche sono arrivate dalla Lega Antivivisezione, che ha sottolineato come gli animali siano ”portatori di diritti”, e dall’Ente nazionale protezione animali che ha parlato di una sentenza ”in antitesi” rispetto alla giurisprudenza corrente. L’animale, di nome Maya, un husky siberiano di 9 anni, era morta l’11 marzo 2003 per un’emorragia dopo un intervento per l’asportazione di un sospetto tumore alla mammella. Per decidere sul riconoscimento del danno morale, dopo aver accertato ”la responsabilita”’ colposa dei due veterinari, il giudice della quinta sezione civile di Milano, Damiano Spera, si e’ richiamato alla Cassazione. La Cassazione, scrive infatti il giudice, ritiene che il danno non patrimoniale (morale e biologico, ad esempio) va risarcito quando c nsiste nella ”lesione di specifici diritti inviolabili della persona”. E, in particolare, prosegue il giudice, ”con riferimento al danno non patrimoniale da morte di un animale d’affezione la Corte ha escluso che in tal caso si configuri la lesione di un diritto inviolabile della persona”.

A sostegno, il magistrato cita una sentenza della Suprema Corte del 2007 sulla ”perdita del cavallo come animale d’affezione”, che ribadisce il principio. Nell’intentare la causa, invece, il legale della donna, l’avvocato Maurizio Bozzato, aveva puntato sul ”coinvolgimento in termini affettivi che la reazione tra uomo e animale domestico comporta” per ”l’arricchimento della personalita’ dell’uomo”. Tesi che non ha convinto il giudice.