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Le pecorelle smarrite: negli ultimi 10 anni chiuso in Italia un allevamento su tre

29 settembre 2010 0 commenti

pecoreChiude quasi un allevamento di pecore su tre negli ultimi dieci anni in Italia, dove la crisi in atto rischia di decimare irrimediabilmente i circa 70mila allevamenti sopravvissuti che svolgono un ruolo insostituibile per l’ambiente, l’economia, il turismo e la stabilità sociale del territorio. È questo l’allarme lanciato da oltre un migliaio di pastori giunti a Roma insieme al presidente nazionale della Coldiretti Sergio Marini in occasione dell’incontro con Governo e Regioni al Ministero delle Politiche Agricole per la presentazione delle misure messe a punto contro la crisi della pastorizia.

I pastori – sottolinea la Coldiretti – sono arrivati a Roma da Sardegna, Lazio, Toscana, Sicilia, Umbria, Basilicata e altre Regioni italiane con pecore, montoni e agnellini. Secondo la Coldiretti «potrebbe essere stata l’ultima occasione per vedere la rustica pecora sarda, la pecora sopravvissana dall’ottima lana, la pecora comisana con la caratteristica testa rossa o quella massese dall’insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversità il cui futuro è minacciato da un concreto rischio di estinzione.

La rustica sarda, che si narra discenda dal muflone del Gennargentu, rappresenta oggi il 40 per cento dell’intera popolazione ovina nazionale, mentre le origini della Comisana, nota per la testa di colore rosso, sono legate alla Sicilia e al Mediterraneo. E se – continua la Coldiretti – la sopravissana, diffusa nel Centro Italia. è nota soprattutto per la lana di ottima qualità, oltre che per la sua versatilità, la massese, tipica della Versilia, si riconosce soprattutto per il manto nero, che ne fa l’unico esempio del genere tra tutte le razze ovine. L’allevamento ovicaprino – sottolinea la Coldiretti – è un’attività che, concentrata nelle zone svantaggiate, è ad alta intensità di manodopera. Il settore ha registrato un incremento dei costi, in particolare per il combustibile, l’elettricità e i mangimi, determinando una ulteriore pressione su una pastorizia che già versa in una situazione critica sul piano della competitività. Dalla mungitura quotidiana di una pecora si ottiene in media un litro di latte che viene pagato fino a 60 centesimi al litro con un calo del 25 per cento rispetto a due anni fa e ben al di sotto dei costi di allevamento si avvicinano all’euro. E non va meglio per la lana con i costi di tosatura e di smaltimento che superano notevolmente i ricavi o per la carne quando solo a Pasqua – riferisce la Coldiretti – quella venduta dall’allevatore a circa 4 euro al chilo viene rivenduta dal negoziante a 10-12 euro al chilo. In Italia – sottolinea la Coldiretti – sono stati prodotti nel 2009 oltre 61 milioni di chili di formaggi pecorini dei quali oltre la metà a denominazione di origine (Dop).

All’esportazione sono andati ben 16 milioni di chili nel 2009 secondo lo studio della Coldiretti che evidenzia peraltro un calo del 10 per cento nell’export di pecorino, nei primi cinque mesi del 2010, dovuto anche alla diffusione sui mercati esteri di prodotti di imitazione concorrenti (ad esempio il Romano cheese venduto in Usa) che sfruttano impropriamente l’immagine del Made in Italy. Nella produzione Made in Italy a denominazione di origine, che è calata nel 2009 del 10 per cento, a fare la parte del leone – continua la Coldiretti – è il Pecorino Romano Dop che copre l’80 per cento, ma hanno ottenuto la protezione comunitaria come denominazioni di origine anche il pecorino Sardo, il Siciliano e il Toscano e quello di Filiano oltre al Fiore Sardo ed al Canestrato Pugliese. Il pecorino – conclude la Coldiretti – è uno dei formaggi italiani più antichi: veniva prodotto già nella Roma imperiale e faceva parte delle derrate dei legionari, ma è probabile che le sue origini siano ancora più antiche, vista la diffusione delle pecore sul nostro territorio