Rapporto Wwf ‘Liberate i fiumi': solo 4 su 30 sono in buona salute
E’ stato uno 30 fiumi censiti dal WWF, il fiume Agri nel cuore della Basilicata, a regalare la sorpresa a poche ore dall’evento dedicato dal WWF ai fiumi italiani: 3 splendidi esemplari della rarissima lontra (Lutra lutra) intenti a nutrirsi in un laghetto, sono stati fotografati e filmati dai responsabili locali dell’associazione. E’ accaduto nel cuore del Parco dell’Appennino lucano, una notizia eccezionale dopo i tragici ritrovamenti dello scorso anno con ben 4 lontre trovate morte. Il nuovo anno lascia dunque ben sperare sia per la specie che per la biodiversità di quel tratto di fiume, catalogato tra quelli più ‘maltrattati’ nella classifica del WWF con 51 depositi abusivi di rifiuti mappati e 91 tra sbarramenti e traverse che ne interrompono la continuità ecologica.
Dalla Mappa del WWF i fiumi Melfa, Tagliamento, Angitola e Ciane sono quelli in buono stato migliore. Seguono a metà classifica, in ordine decrescente, torrente Arzino, Taro, Simeto, Biferno, Sangro, Piave, Ippari, Magra, Adda, Ofanto, Oreto, Savio. Chiudono la classifica Volturno, Sagittario-Aterno, Arno, Aniene, Agri, Tevere, Po di Primaro e buon ultimo il Chiascio. Questa in sintesi la ”fotografia” che emerge dal dossier WWF “Fiumi d’Italia” che verrà presentata domani a Roma in un Convegno presso Palazzo Valentini (Sala Monsignor Di Liegro – Via IV Novembre 119/a) a seguito del censimento LIBERAFIUMI dello scorso maggio che ha coinvolto oltre 600 volontari in tutta Italia per mappare lo stato di una trentina di fiumi italiani. Al convegno, che ha il patrocinio della Provincia di Roma, partecipa anche il Presidente, Nicola Zingaretti.
Il ritardo politico, istituzionale e culturale nella gestione dei fiumi, unito ad una endemica incapacità di affrontare per tempo e responsabilmente i problemi ambientali sono forse le principali cause per comprendere i mali dei nostri fiumi fotografati dal censimento WWF. Mali come la canalizzazione e la diffusa infrastrutturazione della rete idrografica, il consumo e l’impermeabilizzazione dei suoli, che dovrebbero essere lasciati all’esondazione naturale, la continua distruzione della vegetazione naturale che cresce lungo le sponde, i progetti di navigazione come ultima scusa per cavare sabbia e ghiaia dal letto dei fiumi, l’aumento e la diversificazione degli usi dell’acqua, fino ad usarla in maniera indiscriminata per la neve artificiale.
A questo si aggiunga un devastante incremento dei piccoli impianti idroelettrici, incentivati con i fondi per le energie rinnovabili, soprattutto sull’arco alpino dove si tende a non “perdere” un goccio d’acqua, a scapito del minimo deflusso vitale e con buona pace per chi sta a valle. Ma anche l’agricoltura, la florovivaistica e la zootecnia producono impatti ambientali estremamente pesanti ai corsi d’acqua e alle falde in molte parti del Paese, come nella media pianura padana tra l’Oglio, il Po e il Mincio o nella piana dell’Arno nel pistoiese. Gli eccessivi prelievi d’acqua per i differenti usi, spesso scoordinati tra loro hanno stravolto i regimi naturali dei corsi d’acqua, enfatizzando i fenomeni estremi (magre e piene) ai quali, recentemente, si sono aggiunte le conseguenze dei cambiamenti climatici. Nel rapporto appena ultimato dall’Agenzia europea per l’ambiente si conferma, infatti, come tra il 1998 e il 2009 i disastri naturali hanno causato in Europa poco meno di 100 mila morti, hanno colpito 11 milioni di persone e hanno prodotto danni per 150 miliardi di euro.
I PESCI ITALIANI PARLANO ‘TROPPE’ LINGUE
In questa generale situazione di vulnerabilità degli ecosistemi acquatici negli ultimi anni si è avuto un aumento delle specie alloctone (specie introdotte originarie di altre parti del mondo) di animali e piante che hanno ulteriormente contribuito ad impoverire la biodiversità originaria e ad alterare gli habitat. La “lista rossa” delle specie di pesci italiane mostra una situazione allarmante un po’ per tutte, in particolare per lo Storione, lo Storione ladano e la Lampreda di fiume, che in Italia sono considerate praticamente estinte. Ma anche pesci apparentemente comuni come l’Anguilla, il Triotto, la Tinca, il Luccio, la Scardola e il Latterino da pochi anni sono considerati “quasi a rischio” e sembrano proseguire il loro trend negativo anche dai dati raccolti dal censimento WWF. Di contro aumentano le specie aliene che, grazie alla vulnerabilità crescente degli ecosistemi fluviali e alle infelici immissioni, continuano a diffondersi: è il caso dell’Abramide, del Siluro, della Pseudorasbora, del Cobite di stagno orientale, che si sono aggiunte alle numerose già presenti e “naturalizzate”, come il Persico sole, il Persico trota, il Pesce gatto, la Gambusia, il Lucioperca, il Carassio, la Trota iridea e tanti altri. In totale gli studi identificano almeno 112 specie faunistiche alloctone, tra invertebrati e vertebrati, presenti nel nostro Paese.