Reati ambientali: l’Europa ci dà due mesi per recepire la direttiva per introdurre sanzioni penali
La Commissione europea ha dato a 12 Stati membri un aut-aut di due mesi per recepire la normativa dell’Unione che stabilisce sanzioni penali contro l’inquinamento marino e altri reati ambientali.
Il termine per il recepimento negli ordinamenti nazionali della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente e’ scaduto il 26 dicembre 2010, un obbligo a tutt’oggi rimasto inevaso in 10 Stati membri (Cipro, Repubblica ceca, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Malta, Portogallo, Romania e Slovenia). Nel frattempo otto paesi (Repubblica ceca, Finlandia, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Romania e Slovacchia) “non hanno rispettato singole norme sull’inquinamento provocato dalle navi previste dalla direttiva 2009/123/CE, che avrebbe dovuto essere recepita entro il 16 novembre 2010″. Se entro due mesi gli Stati membri interessati non avranno notificato le misure di attuazione, la Commissione potra’ adire la Corte di giustizia dell’Unione Europea.
La direttiva 2008/99/Ce sulla tutela penale dell’ambiente obbliga tutti gli Stati membri a prevedere misure di diritto penale che rendano perseguibili violazioni gravi della normativa europea sulla tutela ambientale. La direttiva elenca le violazioni che devono essere considerate reati in tutti gli Stati membri, tra queste la spedizione illegale di rifiuti e il commercio di specie protette. La direttiva 2009/123/Ce sull’inquinamento provocato dalle navi (che modifica la direttiva 2005/35/Ce) fa parte di un pacchetto normativo che intende potenziare la sicurezza marittima e prevenire l’inquinamento causato dalle navi. La direttiva impone agli Stati membri di considerare un reato i casi gravi di scarico illecito di sostanze inquinanti effettuato dalle navi.
Entrambe le direttive impongono agli Stati membri che i reati siano punibili con “sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive”. La mancata attuazione delle direttive da parte degli Stati
membri ostacola l’adozione di norme minime comuni di diritto penale contro violazioni gravi della legislazione dell’Unione in materia di tutela dell’ambiente e contro l’inquinamento provocato dalle
navi, norme ritenute essenziali per prevenire le lacune di cui potrebbero avvantaggiarsi gli autori di reati ambientali. Con i pareri motivati di oggi si avvia la seconda delle tre fasi del procedimento per infrazione.
“Bene ha fatto la Commissione europea a richiamare nuovamente l’Italia su questa direttiva perche’ il provvedimento italiano in materia, come Legambiente aveva
denunciato all’atto della sua approvazione, e’ del tutto insufficiente e inadeguato. Ed e’ insopportabile avere una legge cosi’ poco efficace nel Paese in cui l’ecomafie hanno un giro d’affari di
quasi 20 miliardi di euro”. Cosi’ il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza commenta l’ultimatum di Bruxelles all’Italia per la mancata adozione della norma comunitaria che introduce i reati penali in campo ambientale e di quella sull’inquinamento causato dalle navi. “Quella del governo e’ stata un’operazione di facciata per mettersi al riparo dall’ennesima procedura d’infrazione- aggiunge Cogliati Dezza- ma, come e’ evidente, non ha funzionato”. Il provvedimento italiano, infatti, “e’ intervenuto solo su questioni marginali senza mai toccare il cuore del problema- prosegue il presidente di Legambiente- i reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, le sanzioni sono scarsamente deterrenti, i tempi di prescrizione bassissimi e non e’ stato previsto nulla per i reati nell’ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilita’ geomorfologia e urbanistica dei territori. E paradossalmente, invece, si continua a ‘proteggere’chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perche’ per questi reati non e’ prevista la reclusione”.
“L’Italia non doveva limitarsi a recepire la nuova direttiva, ma avrebbe dovuto cogliere l’occasione per fare finalmente una riforma sistematica dei ‘reati ambientali’ ed introdurre un nuovo Titolo nel codice penale dedicato ai ‘delitti contro l’ambiente’, con un significativo aumento delle pene e delle sanzioni nei confronti di compie i cosiddetti ‘ecocrimini'” sice Patrizia Fantilli, responsabile ufficio legale e legislativo di WWF Italia. La direttiva europea, ricorda il WWF, istituisce un elenco minimo di reati ambientali gravi che devono essere considerati fatti penalmente rilevanti in tutta la Comunità Europea. In forza della direttiva, ciascuno Stato membro deve adottare misure e norme affinché siano perseguibili penalmente una serie di attività illecite (ad esempio uccisione di animali protetti, danneggiamento di habitat e specie protette, responsabilità per le persone giuridiche) e deve adottare le misure necessarie per garantire che tali reati siano puniti “con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive”. “Il governo italiano, il ministro dell’Ambiente in particolare, ha deciso invece di limitarsi a recepire il minimo previsto dalla direttiva, senza adottare un nuovo sistema efficace di sanzioni penali per prevenire e punire i grandi ‘crimini ambientali’, ritenendo inoltre di non dover sentire gli esperti in materia (la magistratura, gli avvocati, le associazioni di protezione ambientale)”.