Basilicata: nuovo scontro sulla costruzione di un pozzo dell’Eni
Resta alta la tensione in Basilicata sulle nuove trivellazioni per le estrazioni di petrolio. Gli ambientalisti, che chiedono la moratoria, sono tornati alla carica contro il Dipartimento Ambiente della Regione e contro l’Eni per la messa in produzione del pozzo Cerro Falcone 2, in territorio di Calvello (Potenza), nella Val d’Agri. La Ola, Organizzazione Lucana Ambientalista, ha chiesto nei scorsi giorni le dimissioni dell’assessore regionale Agatino Mancusi ed oggi ha presentato una denuncia alla Commissione europea per l’avvio della procedura di infrazione comunitaria impugnando una delibera di Giunta del 12 luglio che autorizza la messa in produzione.
La sigla ambientalista denuncia infatti che ”si tratta di un pozzo che diventera’ estrattivo, ovvero si estrarra’ greggio, in una delle aree piu’ integre e di grande valenza ambientale del Parco nazionale dell’Appennino Lucano, con inevitabili conseguenze sullo stato e l’integrita’ degli habitat naturali gia’ compromessi nelle fasi di ricerca petrolifera”. Dura la risposta del Dipartimento Ambiente, ribadita sempre oggi dalla stessa Eni. Secondo la Regione e la compagnia petrolifera si tratta di un riavvio della produzione anziche’ di una nuova messa a produzione. Su questo punto c’e’ una netta differenza di pensiero da parte della Ola che ritiene invece che il pozzo Cerro Falcone 2 sia ”inattivo” e ”mai messo in produzione”. Non e’ un dato da poco in quanto, ricadendo in un’area protetta, la messa in produzione sarebbe vietata dalle misure di salvaguardia del decreto istitutivo del Parco nazionale Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese.
La compagnia petrolifera replica, invece, che ”il pozzo Cerro Falcone 2 esiste nell’attuale ubicazione sin dal 1995, quando si e’ dato il via alle attivita’ di perforazione. La sua vita produttiva e’ iniziata il 12 ottobre 1999 e a tutt’oggi ha prodotto circa 2,5 milioni di barili di petrolio attraverso un sistema di produzione denominato Lpt (Long Production Test), che prevedeva il trasporto del greggio al Centro Olio mediante autobotti”. Altro punto di divisione riguarda il presunto inquinamento provocato dal pozzo alla vicina fonte dell’Acqua dell’Abete. Ricorda la Ola che ”la perizia disposta dalla Procura di Potenza, a seguito di due sequestri operati dal Corpo Forestale dello Stato della limitrofa sorgente Acqua dell’Abete ed a seguito della denuncia dei Radicali Lucani, ha riscontrato la presenza di metalli pesanti nelle falde idriche e sul terreno”.
Metalli quali cromo, manganese e bario. Non sono stati trovati idrocarburi. Circostanza che fa escludere all’Eni ”ogni possibile inquinamento delle falde superficiali legato alle attivita’ dell’Eni”. L’Eni rivendica inoltre la necessita’ di completare questo investimento che ”a piu’ di dieci anni di distanza non e’ stato ancora completato. Le aspettative dei territori della Val d’Agri e della Val Camastra e la crescita del Polo dell’energia non possono prescindere dal fisiologico sviluppo delle attivita’ alla base dei programmi concordati ed autorizzati e dalle attivita’ di manutenzione sui pozzi e sulle attrezzature di superficie”. ”La continua strumentalizzazione di ogni iniziativa e il rifiuto a priori di qualsiasi intervento – sottolinea la compagnia – non possono permettere un confronto sulle attivita’ di valorizzazione del giacimento della Val d’Agri”. Le posizioni restano, pero’, distanti. La Ola, a stretto giro, ha gia’ contro-replicato. ”La Ola – si legge in un comunicato – attendera’ le decisioni in merito degli organi della Commissione Europea auspicando che prevalgano, almeno per questa volta, le preminenti ragioni del Parco e dei prioritari interessi dell’ambiente e della collettivita’, su una vicenda che evidenzia improvvisazione e manifesta subalternita’ di pubblici enti agli interessi privati delle compagnie petrolifere”.
Un clima incandescente, con uno scontro ormai quotidiano tra la Regione Basilicata e le associazioni ecologiste su ogni atto o provvedimento riguardante le estrazioni di petrolio ed altri temi ambientali (uno su tutti la richiesta di chiusura dell’inceneritore Fenice a Melfi). Tutto cio’ proprio quando la Regione ha deciso di puntare sul petrolio come chiave di volta della sviluppo grazie al prossimo memorandum che sara’ firmato con il Governo centrale.