A Durban la trattativa è in un vicolo cieco
A 48 ore dalla conclusione dei lavori, alla conferenza sul clima di Durban la trattativa è tornata in un vicolo cieco. “Non c’è testo negoziale _ dice un vicecapodelegazione europeo _ sulla forma legale degli accordi, non c’è una sede negoziale ristretta chiara e appropriata. Stamani la presidenza nominerà dei facilitatori, ma il processo sembra un pò alla deriva”. Andiamo bene. Uno che i negoziati sul cilma li conosce come pochi essendo stato dall’inzio del processo capodelegazione italiano è l’attuale ministero dell’Ambiente, Corrado Clini. E anche lui è netto nel tracciare un quadro fosco.
“Tutti danno per scontato che ci dovrà essere un accordo, almeno sul Kyoto 2 _ dice il ministro dell’Ambiente _ ma il problema è il livello dello stesso, dato che si potrà andare da una ratifica di un nuovo periodo di impegno a una semplice dichiarazione politica. C’è oggettivamente il rischio di un sostanziale fallimento”.
A complicare le cose il fatto che la presidenza europea, polacca, è storicamente molto cauta (per non dire scettica) sui cambiamenti climatici e si attine strettamente al mandato ricevuto nel consiglio europeo di ottobre: nessun ingresso nel Kyoto 2 da parte dell’Europa se non si porranno almeno le basi di un accordo globale. “Serve più flessibilità da poarte della parsidenza europea _ commenta Clini – e per questo ho interpellato il premier Monti per chiedergli di porre la questione sul tavolo del Consiglio Europeo di oggi”.
Ma il problema non è tanto l’Europa, ma il resto del mondo. Un accordo su Kyoto 2 pare infatti possibile, ma sarà un accordo al ribasso, perché si perderanno molti dei paesi che hanno ratificato quell’accordo e hanno preso impegni di riduzione al 2012. Non ci sarà il Canada e non ci saranno neppure la Russia e il Giappone. Il Kyoto 2 rischia di essere quindi un club ristrettissimo (Ue, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, forse Svizzera e Corea del Sud) e ben poco significafivo in termini di emissioni.Ci saranno invece i grandi paesi in via di sviluppo, ma come nell’attuale Kyoto senza impegni di riduzione delle emissioni.
Per questo è essenziale che si avvi il processo di lungo termine che preveda mitigazione (cioé, tagli alle emissioni) per tutti. Ci si potrebbe arrivare o attraverso un accodo tra “paesi di buona volontà” tratteggiato l’altroieri da Clini e caro anche alla Gran Bretagna, e che coinvolga oltre ai paesi che si impegneranno sul Kyoto 2 anche almeno la Cina, il Brasile, il Sudafrica, il Messico, e sperabilmente ma difficilmente l’India. Oppure attraverso l’approvazione di una roadmap per un accordo globale da concludere entro il 2015, come giustamente chiede l’Europa.”Qauttro anni _ commentava ieri il commissario europeo Hedegaard _ non sono certo pochi”. Sono anzi troppi.
Questa ultima ipotesi resta però un obiettivo improbabile da raggiungere. “Al momento _ osserva Corrado Clini _ su questo fronte possiamo immaginare una agenda per una road map. Cioè una agenda senza date prefissate”.
Come dire, campa cavallo, ne ripaliamo tra qualche anno. Ma questa a Durban è la realtà delle cose, e pazienza per il cambiamento climatico. Gli stati, Europa, Australia e piccole isole a parte, hanno altre priorità. Nell’agenda politica mondiale il cambiamento climatico è stato soppiantato dalla crisi economica. Prendiamone atto.
Alessandro Farruggia