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Durban, trovata l’intesa. Accordo globale dal 2015

11 dicembre 2011 0 commenti

durban“Oggi abbiamo fatto la storia”. Erano le 5 del mattino (le 4 in Italia) quando Maite Nkoana-Mashabane, il ministro dell’ambiente sudafricano che ha presiduto la conferenza di Durban (Cop17), ha battuto il matelletto della plenaria segnano la fine di una maratona negoziale che ha confezionato un accordo che segna una svolta nella storia delle negoziazioni climatiche.

Alle 3 del mattino la plenaria si è incendiata con un duro scontro tra il commissario eiuropeao Connie Hedegaard, il ministro dell’ambiente indiano e il caponegoziazione cinese sulla forma legale dell’accordo. “Abbiamo bisogno di chiarezza _ ha detto il capodelegazione EU _ e abbiamo bisogno di impegni. L’Europa ha mostrato pazienza per molti anni. Siamo quasi proti a un secondo periodo di impegno al protocollo di Kyoto. Noi non chiediamo molto al mondo: che dopo il secondo periodo di impegno ci sia un accordo legalmente vincolante. proviamo ad avere un protocollo entro il 2018″.

Durissima la replica del ministro dell’ambiente indiano Jayanthi Natarajan, che ha obiettato come ai paesi in via di sviluppo veniva chiesto di firmare un accordo a scatola chiusa, senza sapere cosa conterrà l’accordo. “Mi viene chiesto di firmnare un assegno in bianco e di mettere in gioco la qualità di vita e la sostenibilità di 1.2 miliardi di indiani, senza neppure sapere cosa contiene la roadmap europea. E mi chiedo se questa non sia una agenda che sposta il peso degli interventi su chi non è responsabile del riscaldamento climatico”.

“Chi via dà il diritto _ ha attaccato il capodelegazione cinese rivolgendosi all’Ue _ di dirci che cosa dobbiamo fare?”.

A un passo dal fallimento, il ministro Maite Nkoana-Mashabane, ha chiesto a China, India, gli Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia,  Svezia, Gambia, Brasile e Polonia di incontrasi in un gruppo ristretto denominato “huddle” (come fanno i giocatori di rugby, abbracciandosi in cerchio prima dell’avvio del gioco).

huddleRiuniti attorno a un tavolo in plenaria, circondati dagli altri delegati, gli “huddlers” sono riusciti a trovare una intesa grazie al capodelegazione brasiliano, il giurista Luis Figueres, che _ parlando a nome degli altri paesi del gruppo BASIC, cioé anche Cina, India e Sudafrica) ha trovato un compromesso sulla forma legale dell’accordo, proponendo di sostituire la formulazione originaria  (“an agreed outcome with legal force”) con “esito legale” (“legal outcome”). I giuristi europei hanno dato disco verde perché esito legale è sinonimo di “accordo legalmente vincolate” e l’accordo era trovato. Due ore dopo, riscritti i testi, la plenaria dava via libera al “pacchetto di Durban”.

Il primo punto è il via libera al secondo periodio di impegno del protocollo di Kyoto, nel quale la riduzione delle emissioni sarà volontaria e dovrà essere comunicata dai paesi sviluppati che accetteranno di ratificarlo entro il maggio 2012. Non molto, dato che comunque i soli che sono intenzionati a ratificarlo sono Ue, Australia, Norvegia, Svizzera e Nuova Zelanda. Ma questo ha consentito di sbloccare il punto davvero importante in duscussione a Durban, l’accordo globale.

La conferenza di Durban ha deciso di “lanciare un processo nell’ambito della Convenzione che abbia esito legale e sia applicabile a tutte le parti (gli stati firmatari. NDA)”. Il processo sarà affidato ad un nuovo gruppo negoziale, il “Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action”, che dovrà iniziare il suo lavoro “nella prima metà del 2012″ e dovrà completarlo “prima possibile e comunque non oltre il 2015″ in modo che potrà essere approvato dal 21 conferenza delle parti (dicembre 2015. NDA) e diventare operativo “entro il 2020″. Le parti concordano di “aumentare il livello di ambizione” e di farlo alla lce del prossimo rapporto dell’Ipcc e della revisione degli impegni di Cancun prevista per il 1013-2015.

In buona sostanza, si avvia un processo che porterà al 2015 all’accordo globale, cioè alla sola azione che potrà essere davvero incisiva per far fronte al cambiamento climatico.

Il pacchetto di Durban include anche il tanto atteso Green Climate Found per la mitigazione e l’adattamento dei paesi in via di sviluppo, che dovrà essere finanziato (ma ancora non si sa come) con 100 miliardi di dollari dal 2020, un Comitato sull’Adattamento per coordinare le azioni di adattamentoe un Technology Mechanism per il trasferimento di tecnologie: tutti saranno operativio dal 2012.

«Siamo usciti dal “cono d’ombra” di Copenaghen. L’accordo – ha commentato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini – supera i limiti del Protocollo di Kyoto e ha una dimensione globale offrendo all’Europa, e soprattutto all’Italia, la possibilità di costituire la “piattaforma” per lo sviluppo con le grandi economie emergenti, Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica».

Molto lavoro resta da fare, e, come hanno osservato molti ambientalisti, l’accordo sancisce di fatto l’abbandono della speranza di stare sotto i 2 gradi di riscaldamento dato che i tagli veri inizieranno dopo il 2020. Quindi, ambientalmente è  un disastro. Ma di più non era realisticamente possibile, viste le posizioni degli stati. Ma l’accordo, benchè largamente inferiore alle necessità, va comunque salutato con favore perchè è un cambio di passo verso impegni reali e non solo di facciata, e soprattutto perso impegni che coinvolgono tutti. E dal se e quando ci si arriverà con tagli reali, dipenderà l’entità del riscaldamento del nostro pianeta.

Alessandro Farruggia