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Occhio al riciclo: quasi un italiano su due sceglie l’usato

18 dicembre 2013 0 commenti

rifiutiRiciclo_web--400x300Negli ultimi 5 anni quasi un italiano su 2 ha fatto ricorso all’usato, un settore che secondo le stime occuperebbe oltre 80mila persone. Usato che, oltre a ridurre i rifiuti puntando al riuso, taglia anche la CO2: si stima che in media ogni negozio che tratti merce alla sua ‘seconda vita’ agevoli l’eliminazione di 475 tonnellate di anidride carbonica equivalente. Questi alcuni dati contenuti nel ‘Rapporto nazionale sul riutilizzo 2013′, realizzato dal Centro di ricerca economica e sociale ‘Occhio del Riciclone’ con il patrocinio del ministero dell’Ambiente, presentato oggi a Roma dalla Rete nazionale operatori dell’usato in collaborazione con la Federazione Italiana servizi pubblici igiene ambientale- Federambiente.

Secondo l’Osservatorio Findomestic, si legge nel rapporti, “negli ultimi 5 anni e’ cambiato profondamente l’approccio degli italiani verso l’acquisto dell’usato” con “il 48% degli italiani” che ha fatto ricorso all’usato mentre “il 41% dichiara di voler incrementare i suoi acquisti in questo settore”. Il profilo di chi sceglie l’usato mostra che riguarda “chi cerca il risparmio; chi e’ piu’ colto; i giovani piu’ che gli anziani”.

Nell’espansione dell’usato “la crisi conta- spiega il rapporto- ma si tratta anche di un’evoluzione degli stili di consumo che e’ indipendente dalla congiuntura economica caratterizzata da una riduzione del potere d’acquisto delle famiglie”. La tendenza al ricorso all’usato “e’ dunque destinata ad affermarsi e crescere anche quando si entrera’ in un’eventuale fase di ripresa economica”.

I dati della Camera di Commercio di Milano “sottolineano che il mercato dell’usato in Italia conta 3.283 esercizi commerciali- prosegue il ‘Rapporto nazionale sul riutilizzo 2013′ di ‘Occhio del Riciclone’- leader tra le regioni la Lombardia con 517 imprese attive, una su sei in Italia, davanti al Lazio con 430 e alla Toscana con 386″. Tra le province, “dopo Roma con piu’ di una impresa nazionale su dieci nel settore, ci sono Milano, Napoli e Torino”. Nel computo sono assenti i negozi dell’usato in conto terzi (circa 4mila) e gli ambulanti professionisti, ossia i segmenti che hanno maggior tasso di espansione e che spesso vanno sostituendo, territorialmente, le botteghe di rigatteria tradizionali, che invece sono registrate nelle elaborazioni.

Secondo le stime della Rete nazionale operatori dell’usato “il comparto dell’usato occuperebbe in Italia oltre 80.000 persone”, ma “una mappatura puntuale risulta assai problematica a causa dell’informalita’ nella quale sono costrette circa il 70% delle attivita’ e in attesa di una riforma complessiva del settore che comincia a muovere i primi passi”.

Rispetto alle categorie, “va bene l’usato che ha funzione d’uso, va molto male l’usato superfluo (epoca, collezionismo, ecc)”: soffrono la crisi dunque i rivenditori di usato superfluo, mentre vanno bene quelli di usato generico (o “indifferenziato”). I settori della riparazione di abbigliamento ed elettrodomestici sono in “ricrescita”.

“Gli operatori informali, specie di etnia rom, sono al centro di iniziative di integrazione a Napoli, Reggio Calabria, Roma e Torino- segnala il ‘Rapporto nazionale sul riutilizzo 2013′ di ‘Occhio del Riciclone’- ma sono anche oggetto, alternativamente, di persecuzione giudiziaria e persecuzione razzista”.

A Roma ad esempio “la chiusura di esperienze di mercatini autorizzati, sta generando una rinnovata pressione delle comunita’ straniere sui mercati autorizzati con pesanti ripercussioni per le attivita’ degli stessi operatori dell’usato di Porta Portese che stentano anch’essi a veder formalizzata la loro pluridecennale attivita’ di riutilizzatori”. Invece Torino, “dopo essersi affermata come best practice in questo ambito con l’istituzione delle ‘Aree di libero scambio non professionale dell’usato’ ha davanti la sfida di riconfermarsi come terreno d’avanguardia di sperimentazione di fronte alla crescente richiesta di spazi autorizzati avanzata da ampie fasce della popolazione in stato di bisogno”.

A Roma e Milano, inoltre, “operai in cassaintegrazione o espulsi dal mercato del lavoro, insieme a precari e studenti hanno messo in moto processi di riconversione partecipata nelle ex-fabbriche fallite che hanno al centro modelli di riutilizzo su scala, riciclo e upcycling”.

“Su 210 negozi conto terzi presi a campione, risulta una media di beni avviati a riutilizzo pari a 100 tonnellate all’anno- prosegue il ‘Rapporto nazionale sul riutilizzo 2013′ di ‘Occhio del Riciclone’- ciascuno di essi evita ogni anno l’emissione di 475 tonnellate di CO2 equivalente”. La ricerca ha dato la possibilita’ di confrontare il contributo ambientale offerto da varie iniziative messe in atto da attori pubblici e privati a favore del riutilizzo, fornendo “possibili spunti di riflessione anche sulla concessione di adeguati contributi e sgravi annunciati tra gli allegati alla Legge di Stabilita'”.

Dall’analisi emerge che “un negozio conto terzi medio a conduzione familiare riesce a riutilizzare poco meno di quanto sono riusciti a riutilizzare tutti i centri di riuso del Centro Italia”, ma a differenza di questi ultimi “”non ha potuto godere di alcun aiuto pubblico e paga proporzionalmente piu’ tasse e tariffe di chi vende nuovo. Tenendo conto che in Italia i negozi in conto terzi sono circa 4mila, “e’ possibile valutare il loro volume complessivo di riutilizzo in centinaia di migliaia di tonnellate ogni anno”.

Negli ultimi anni, infine, “le proposte di moda e riutilizzo hanno avuto successo principalmente nei mercati dei Paesi a reddito piu’ basso”. In quelli a reddito elevato “la proposta si rivolge ad una fascia d’elite per alcuni marchi afferati e proliferano le produzioni amatoriali che a stento riescono a trovare un punto d’equilibrio”. Quindi “produzione su scala e internazionalizzazione del mercato” sono “le ricette per far fiorire il settore”.

 

(fonte DIRE)