Tornare alla carboneria
Non è un invito alla ricostituzione di movimenti libertari clandestini (anche se forse qualcuno ce ne vorrebbe, dati i tempi), è invece uno sbocco possibile per il problema dell’anidride carbonica: sequestrarla nella carbonella vegetale e seppellirla nel terreno. I carbonai o carbonari lo facevano nel passato anche nei nostri boschi, fabbricavano grandi cataste di rami d’albero e poi le facevano lentamente bruciare, anche se in tale scarsità d’ossigeno che il termine bruciare non è esatto, i chimici infatti chiamano questo procedimento pirolisi, ovvero decomposizione in presenza di calore. Il legname così trattato si trasforma in uno stabile deposito di carbonio che può essere incorporato nel terreno senza timore di ulteriori decomposizioni. In teoria tutti i residui vegetali di origine agroforestale potrebbero essere trattati in questa maniera e molti ricercatori, tra cui l’italiano Franco Miglietta del Cnr (foto), si stanno attivamente occupando della cosa nell’ambito della International Biochar Initiative. Della questione si occupa anche il Corriere della Sera con un articolo e il Sole24Ore con inchiesta e filmati. Tanto per fare un esempio, in Italia si producono ogni anno circa venti milioni di quintali tonnellate di paglia di grano e altri cereali, corrispondenti a circa 36 milioni di ton CO2. Se fossero tutti sequestrati sottoterra cancellerebbero il 6-7% delle emissioni nazionali di anidride carbonica. Aggiungeteci tutti i residui legnosi e la cosa comincia a diventare molto interessante, no?