G8, sul clima passi in avanti
dall’inviato Alessandro Farruggia
_ L’AQUILA _
I paesi del G8 “riconfermano la loro volontà a condividere con tutti i paesi l’obiettivo di ridurre almeno del 50% le emissioni globali entro il 2050, riconoscendo che questo implica che le emissioni dovranno avere un picco quanto prima e quindi declinare”. Non solo. Premettendo che “questo è un anno cruciale per prendere decisioni rapide ed efficaci a livello globale”, stabiliscono “l’obiettivo per i paesi sviluppati della riduzione delle emissioni dei gas serra dell’80% o più entro il 2050, rispetto al 1990 o ad anni più recenti: conseguentemente individueranno impegni intermedi individuali coerenti con tale obiettivo e, sebbene diversi, comparabili”. E i paesi G8 riconoscono pienamente il lavoro di ricerca dell’Ipcc _ il panel di scienziati reato dall’Onu che ha avuto il premio Nobel per le sue ricerche sul clima _ e fanno proprio “il parere scientifico condiviso che l’aumento della temperatura media globale non dovrà superare i 2 gradi” rispetto all’epoca preindustriale. Nel documento i G8 sottolineano la necessità di “promuovere il ruolo del mercato per ridurre le emissioni”, suggeriscono “l’eliminazione tariffe e barriere per i beni ambientali” sottolineano la necessità di sviluppare la tecnologia e ricordano la cruciale questione dei finanziamenti a beneficio dei paesi in via di sviluppo, sia per l’adattamento che per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Non è poco: è sostanzialmente una espressione di volontà politica da parte delle 8 maggiori economie mondiali. La indispensabile premessa per ottenere, in una conferenza tematica come quella di Copenaghen, risultati positivi. Ovviamente sarebbe stato meglio prevedere target anche per il 2020, ovviamente sarebbe stato eccellente se i G8 mettessero sul piatto dei fondi per l’adattamento e la mitigazione. Ma questo, benchè desiderabile, era semplicemente non realistico. Degli obiettivi possibili quello raggiunto è uno dei migliori. Copenaghen, se tutto fa bene, farà il resto. E a anche qui, non tutto quel che sarebbe desiderabile ma qual che è politicamente fattibile. E cioè un accordo tra paesi sviluppati, che parta dal 2012, preveda un qualche coinvolgimento _ con target non legalmente vincolanti _ di Cina, India e altri grandi paesi in via di sviluppo. E che costituisca un passo in avanti rispetto all’attuale accordo (debole e inefficace) di Kyoto.
A metà giornata l’accordo sul clima sembrava una chimera. I grandi paesi in via di svilippo _ Cina e India in primis _ si erano chiamati fuori da un accordo nell’ambito del “Major economies forum” (Mef) che oggi, a margine del G8, dovrà esprimersi sul tema. Il fallimento sembrava dietro l’angolo. Ma i leaders non si sono nascosti dietro il mancato consenso di Cina e India e hanno deciso di seguire l’esempio dell’Ue, prendendo la guida del processo di riduzione dei gas serra. Decisivi nell’affiancarsi all’Ue sono stati Usa e Australia, sono all’anno scorso gli unici paesi rimasti ad opporsi all’accordo di Kyoto. All’accordo in sede G8 non fa seguito un impegno simile in sede Mef. Ma anche la dichiarzione Mef che verrà approvata oggi _ pur presumibilmente non indicando obiettivi di lungo termine _ avrà un punto positivo: riconoscere la necessità di non superare i due gradi di riscaldamento. E per farlo davvero occorrerà agire. E in maniera massiccia.
Gli ambientalisti si sono divisi nella valutazione. Per alcuni è un primo passo, anche se ancora non abbastanza, perché l’emergenza climatica è sempre più grave e sempre più rapida e servono misure concrete e immediate. “I leader del G8 hanno concordato di mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto dei 2 gradi, dimostrando di essersi finalmente risvegliati dopo una lunga fase di negazione”, ha commentato in un comunicato il Wwf, “ma hanno completamente omesso di dire come intendono raggiungere l’obiettivo: senza una strategia chiara per la riduzione delle emissioni, questo impegno si aggiungerà alla lunga lista delle promesse non mantenute”. Simile il giudizio di Oxfam: “Stabilire un tetto massimo di due gradi centigradi per il riscaldamento globale è un importante passo in avanti”, ma “il G8 non ha spiegato quali azioni sono necessarie per porre subito un freno al riscaldamento globale”. In particolare, il termine del 2050 per ridurre le emissioni dell’80% “è positivo”, ma “il 2050 è troppo lontano per essere significativo”. Sia Wwf che Oxfam chiedono lo stanziamento di 150-160 miliardi di dollari all’anno per la riduzione delle emissioni e l’adattamento ai cambiamenti climatici già in atto. Più critica Greenpeace. “I leader agiscono e i politici parlano. Incapaci ad agire in modo deciso contro i cambiamenti climatici, i leader delle nazioni più ricche del pianeta hanno fallito, e portato tutti noi verso il fallimento”. È questo il commento di Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, al documento sul clima approvato al G8. “I politici riuniti all`Aquila rischiano di mettere il pianeta – afferma – sulla strada di rapidi cambiamenti climatici, con costi sociali e ambientali devastanti”. Secondo Greenpeace “il G8 si chiude senza nessun impegno concreto a una riduzione delle emissioni nel medio periodo, e senza alcun impegno a investire la cifra di 106 milioni di dollari che serve, annualmente, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contrastare gli impatti del cambiamento climatico e a fermare la deforestazione. I grandi del mondo hanno così fallito nel posare la prima pietra di uno storico accordo per salvare il clima al summit di Copenaghen, che è solo tra 150 giorni”. “Riferendosi a un generico accordo per contenere l`aumento della temperatura terrestre entro i 2 gradi, senza un piano chiaro, senza investimenti e senza obiettivi”, continua in una nota il direttore di Greenpeace Italia, “il G8 non aiuterà a uscire dal vicolo cieco nel quale sono arenati i negoziati sul clima delle Nazioni Unite. Anzi”. È vero che è la prima volta che i leader del G8 si mettono d`accordo per contenere l`aumento delle temperature entro i 2 gradi, rispetto ai livelli dell`era pre-industriale. Ma se questo rappresenta un passo in avanti per USA, Canada, Russia e Giappone, altri 124 Paesi in tutto il mondo sostengono già questi obiettivi, o addirittura altri ancora più rigidi”.