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Aperta la conferenza sul clima di Copenaghen. Ecco la posta in gioco

7 dicembre 2009 0 commenti

COP15 (1)
IN GIOCO c’è il futuro del pianeta. Il mantenimento del riscaldamento globale a un livello accettabile per l’uomo e l’ecosistema. L’obiettivo fu fissato a Rio de Janeiro nel 1992 e nel 1997 a Kyoto si indicarono i primi impegni vincolanti. Ma, 12 anni dopo Rio, le emissioni di Co2 invece che diminuire sono globalmente cresciute del 40%, passando da 21.6 a oltre 30 miliardi di tonnellate di carbonio. Un fallimento. E secondo l’Agenzia internazionale per l’Energia senza interventi veri saliranno ancora: a 33 miliardi nel 2015 e a 40 miliardi nel 2030. Cioè, raddoppieranno.

L’obiettivo della conferenza dell’Onu sul clima che si è aperta oggi a Copenaghen, è quello di dare vita ad un trattato che prenda il posto di quello di Kyoto, che scade nel 2012, e che riduca davvero le emissioni a livello globale. Come minimo del 25-40% entro il 2020 e del 50-80% entro il 2050. Possibile, se ci fosse la volontà politica di farlo.

VISTI i tempi di ratifica, che richiedono almeno tre anni, un accordo deve essere trovato adesso. O al massimo entro il 2010. A i 15mila tra delegati, giornalisti, osservatori che affolleranno da qui al 18 dicembre il ‘Bella Center’ della capitale danese dove si svolgerà la 15° Conferenza delle parti, è giunto ieri anche l’appello del Papa: «Auspico che i lavori aiuteranno a individuare azioni rispettose della creazione e promotrici di uno sviluppo solidale». Ci vorrà molta carità. Ma al momento non è dato sapere se alle dichiarazioni seguiranno fatti.

A infondere nuovo ottimismo tra i delegati e gli osservatori la decisione del presidente americano Barack Obama di spostare la sua partecipazione alla conferenza dal giorno 9 al giorno 18 dicembre. Di venire cioè quando a Copenaghen ci saranno 103 tra capi di Stato e di Governo, tra i quali l’inglese Brown, il francese Sarkozy, il cinese Hu Jintao, il russo Medvedev, la tedesca Merkel, il premier indiano Singh e Berlusconi. La decisione di Obama di ‘metterci la faccia’ ha riacceso la speranza che un accordo si troverà, anche se come ha detto Ivo De Boer, segretario generale della Convenzione, «è impossibile che a Copenaghen si trovi un accordo legalmente vincolante». Anche perché l’America viene a Copenaghen senza una legge approvata sul tema e potrà solo fare promesse.

L’OBIETTIVO allora è di trovare una intesa politica forte, che verrà poi tradotta in un accordo dettagliato e legalmente vincolante o in una ‘Cop15 bis’ da tenersi a Bonn o a Copenaghen a metà 2010 o a Città del Messico, nella Cop 16, nel dicembre 2010. Il problema è però se si riusciranno a convincere i Paesi in via di sviluppo ad accettare di partecipare ad un accordo globale o se si dovrà ripiegare su una ‘Kyoto2’ con impegni legalmente vincolanti per i soli paesi sviluppati.

Se così fosse, e se non si indicassero obiettivi al 2020 oltre che al 2050, sarebbe un mezzo fallimento visto che la Cina è il primo emettitore mondiale e i Paesi in via di sviluppo sono complessivamente oltre il 50%. Non includerli da subito significherebbe dar vita ad un altro protocollo dimezzato.
Gli annunci fatti finora da Usa, Cina e India sono deludenti. Gli Usa propongono una riduzione del 17% al 2020 rispetto al 2005, che è pari a un modesto -4% rispetto al 1990. Meno di quanto si erano impegnati a fare nel 1997 (-7%). Un semplice taglio dell’intensità energetica è invece proposto da Cina (-40/45%) e India (-20/25%). Vorrebbe dire di migliorare l’efficienza, ma continuare ad aumentare e di molto le emissioni. Strada in salita quindi, a Copenaghen. Per non perdere la faccia, una intesa probabilmente la troveranno. Il problema è se sarà abbastanza.

di Alessandro Farruggia