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Oggi sarà svelata la mini centrale a fuel cell che promette di cambiarci la vita

24 febbraio 2010 0 commenti

L’appuntamento è per le 19 ora italiana nel quartier generale di E Bay, a San Josè, California. Sarà allora che la società californiana Bloom Energy lancerà la sua Bloom box, una minicentrale elettrica a celle di combustibile che promette di rivoluzionare il modo di produrre e consumare energia. Se ne parlava da un paio d’anni, ma a lanciarla è stato uno scoop della trasmissione 60 minutes della emittente americana CBS. Potete trovarlo QUI. La Bloom box vera e propria _ l’unità a fuelcell _ è piccola come una scatola e viene inserita in un sistema grande come un frigorifero. Le fuel cell della Bloom energy sono elementi di nuova generazione _ solid oxide fuel cells _ costituiti da piastre ceramiche (probabilmente composte di ossido di zirconio al quale, per stabilizzarlo, viene aggiunto ossido di ittrio) trattate sui due lati. Vengono alimentate con ossigeno e combustibile _ gas naturale, ma anche biogas _  e sono riscaldate ad alta temperatura. Questo innesca una reazione chimica che produce elettricità senza combustione e viene raccolta da un elettrodo e un catodo  non di platino (efficace, ma troppo caro) ma di una lega composta da oro e altri metalli.

K.R.Sridhar con due moduli di fuel cell

K.R.Sridhar con due moduli di fuel cell

Ogni Bloom box produce abbastanza energia per una casa americana, come dire per due case europee. La Bloom box è stata inventata dall’ingegnere aerospaziale K.R Sridhar, 49 anni, che oggi è l’amministratore delegato della Bloom Energy, la società che ha fondato nel 2002. Il suo curriculum scientifico è solido. Nato in India è stato docente di ingegneria meccanica e aerospaziale e direttore della Space tecnologies laboratoriy dell’università dell’Arizona e ha lavorato per la Nasa. Per l’ente aerospaziale americano aveva prodotto un modulo a fuel cell _ pensato per la missione umana su Marte _ che fornendo energia e metano avrebbe prodotto ossigeno. Cancellata la missione su Marte, Sridhar ha pesato di invertire il processo: inserire ossigeno e carburante per produrre elettricità. Sridhar ha cercato capitali e ha convinto uno dei maggiori venture capitalists, quel John Doerr che con i suoi soldi contribuì a fondare aziende che sarebbero poi diventate dei colossi Netscape, Amazon e Google: John Doerr ci ha investito qualcosa come 400 milioni di dollari e ha portato nel consiglio di amministrazione personaggi come l’ex segretario di stato americano Colin Powell. Ci sono voluti tre anni per produrre la prima versione, poi testata per due anni. Ha funzionato e dal luglio 2008 è stata installata in 20 grandi aziende americane.

Una Bloom Box costa oggi tra 700 e 800 mila dollari ma Sridhar conta di portare il suo prezzo “in un arco di tempo tra i 5 e i 10 anni” sotto i 3 mila dollari. Le prime Bloom box sono già in servizio da mesi in aziende come Google, Wal Mart, Fed Ex, Staples. E i risultati sono positivi. Ma il problema non è solo e tanto se funziona, il problema sono l’affidabilità e il prezzo. Le celle a combustibile sono una realtà da oltre cento anni, ma solo come prodotti di nicchia. Risucirà l’azienda di Sunnyvale renderle in grado di funzionare per 20-30 anni e riducendo di oltre il 250% il costo attuale? Compagnie come Fuel cells inc, di Danbury, Massachssets vendono fuel cells dal 1992, ma i conti sono ancora in rosso (71 milioni di dollari di perdite nel 2008). La californiana ClearEdge già oggi vende una fuel cell in grado di produrre una fuel cell da 5 chilowatt per 56 mila dollari. La Bloom box dovrebbe costare il 5%. Una sfida straordinaria.

 

 Certo è che il settore delle fuel cell è in tumultuoso sviluppo. Il governo giapponese ha annunciato che investirà 310 milioni di dollari all’anno con l’obiettivo di alimentare con fuel cells dieci milioni di abitazioni (il 25% delle case giapponesi) entro il 2020. Riuscirà la Bloom Box a dare lo spin giusto per fare decollare il settore?  

La Bloom box potrebbe avere un impatto straordinario anche nella lotta ai cambiamenti climatici. E’ noto che l’efficienza delle celle a combustibile è molto alta. Se fosse doppia rispetto a una centrale tradizionale (70% invece del 35%, considerando le perdite della rete di trasmissione) questo potrebbe voler dire ridurre del 50% le emissioni di Co2. Secondo indiscrezioni la Bloom Box avrebbe un tasso molto basso di emissioni perchè effettuerebbe una parziale contro-reazione, trasformando una parte dell’anidride carbonica prodotta nella reazione in gas combustibile.Troppo bello per essere vero? Troppo presto per essere vero? Anche se le emissioni di Co2 fossero di poco inferiori a quele di una centrale a gas sarebbero comunque del 50% inferiori di quelle di una centrale a carbone e si eliminerebbero le perdite (e l’inquinamento visivo) determinate dalla rete di distribuzione. Potete immaginare un modo senza piu tralicci elettrici, dove la generazione elettrica sia diffusa?

Troppo bello per essere vero? Troppo presto per essere vero?

Vedremo. Di certo, su tutto, c’è l’enorme problema dei costi. Auguri, professor Sridhar.

Alessandro Farruggia