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Clima, dall’Oceano Artico una ‘superfuga’ di metano nell’atmosfera

5 marzo 2010 0 commenti

Una
La sola porzione di oceano artico che si affaccia davanti alla Siberia orientale _ l’East siberian ice shelf, che si estende per 2.1 milioni di chilometri quadrati _ rilascia più metano di tutti gli altri fondali oceanici messi assieme. A rivelarlo è una ricerca condotta da Natakia Shakhova della Accademia russa delle scienze e della University of Alaska, che è stata pubblicata nel numero del 4 marzo della prestigiosa rivista scientifica Science.

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Nel corso dell’ultima glaciazione, quando il livello dei mari era più basso, l’East siberian arctic shelf, che oggi si trova a profindità medie di 45 metri, era emerso. La regione era coperta di vegetazione simile a quella della attuale tundra, e come la tundra accumulava quantità di materiale organico, che a causa del clima freddo non si decomponeva, accumulandosi nel suolo gelato formando concentrazioni di quello che sarebbe poi diventato metano.

Adesso la riserva sommersa di metano al largo delle coste siberiane ha inziato a “perdere”, molto probabilmente a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua. Occorre infatti ricordare che la temperatura del permafrost (suolo ghiacciato. Nda) dell’Oceano Artico è infatti da 12 a 17 gradi superiore a quella del permafrost sulle coste siberiane. Certo è che il flusso di metano dal fondo è impressionante. Sei campagne oceanografiche artiche, condotte dal 2003 al 2008, hanno mostrato che l’80% delle acque profonde e il 50% di quelle superficiali dell’area al largo delle coste della Siberia orientale è supersatura di metano.

Se fosse solo questa area a “pedere” metano, il flusso non sarebbe in grado di modificare sensibilmente il ciclo globale di questo gas serra, visto che l’emissione è stimata dalla ricercatrice russa in 8 milioni di tonnellate all’anno a fronte delle 440 milioni di tonnellate all’anno di metano immesse in atmosfera da varie fonti, ma il discoso cambierebbe se anche altre porzioni dell’Oceano Artico – in primis quello di fronte alle coste canadesi, alla Siberia occidentale e attorno alla Groenlandia _ mostrassero lo stesso pattern. “E quindi – osserva la dottoressa Shakhova – c’è un orgente bisogno di avviare nonve ricerche in altre porzioni dell’oceano artico per valutare l’entità del rilascio e i suoi possibili impatti”. Possibilmente con una certa urgenza in modo da avere altri dati disponibili prima della redazione del prossimo rapporto Ipcc sui cambiamenti climatici.