Cancun, il Giappone dice addio a Kyoto. La Cina: così crolla tutto
Dall’inviato ALESSANDRO FARRUGGIA
_ CANCUN (Messico)_
Tutti sanno che il problema esiste, nessuno tra quelli che hanno il potere di incidere sui destini del mondo agisce davvero. E cosi tra i delegati scivola via la notizia che secondo la Noaa _ l’agenzia governativa americana su atmosfera e oceani _ i primi dieci mesi del 2010 sono stati i più caldi mai misurati, ponendosi grossomodo sul livello dello stesso periodo del 1998. A dispetto delle evidenze scientifiche, un anno dopo il clamoroso fallimento di Copenaghen, il mondo cerca ancora una via per rispondere al cambiamento climatico e sembra farlo più mostrandosi attento alle loghiche della diplomazia e a quelle dell’economia che non a quelle dell’ambiente. Molto più attento.
La conferenza mondiale sul clima _ la 16°, e già questo la dice lunga sulla vischiosità e inefficacia del processo _ che si è aperta a Cancun e fino a venerdì 10 dicembre metterà attorno al tavolo negoziale 193 paesi (ma solo 25 capi di stato o di governo) è spaccata in più fronti, con Stati Uniti e Cina che si confrontano apertamente e il Giappone che si è clamorosamente messo di traverso gettando sul tavolo un carico da novanta: “no” a qualsiasi proroga del protocollo di Kyoto.
Già, Kyoto. Il problema è: il protocollo siglato nel 1997 nella città giapponese, che non è stato ratificato dagli Usa e comunque riguarda solo i paesi sviluppati, incide poco ma è legalmente vincolante, e scadrà il 31 dicembre 2012. L’Ue (l’unica con le carte in regola avendo ridotto del 17% le proprie emissioni rispetto al 1990) vorrebbe rinnovarlo e avviare al tempo stesso un negoziato globale. E molti paesi in via di sviluppo guidati dalla Cina, sotto sotto forti del fatto che Kyoto tutela le loro ambizioni di crescita, ritengono invece che prima vada prorogato il protocollo per altri 8 anni, che nel frattempo si approvino protocolli per la finanza e l’assistenza tecnologica, che gli Usa si debbano impegnare a ratificarlo e che poi _ e solo poi _ si pensi ad un eventuale accordo che comprenda tutti: la cosiddetta “Kyoto 2”. Insomma: prima i tagli alle emissioni nei paesi ricchi, poi i soldi e poi si può parlare di una eventuale intesa globale (ma con impegni differenziati, naturalmente).
Gli Usa, con il caponegioziatore Todd Stern hanno però risposto picche: “Tutti i punti del negoziato dovranno andare di pari passo. Non vi è alcune possibilità che si ottenga a Cancun un accordo su fondi e tecnologia e si rinvii all’anno prossimo le intese su riduzione delle emissioni e il monitoraggio e verifica degli impegni presi”. Voglia di accordo globale? Piuttosto impossibilità di garantire l’approvazione di alcunchè di climatico con un Congresso appena finito in mani repubblicane. E quindi necessità di volare basso, e rigorosamente coprendo l’industria americana e tutelando i soldi dei contribuenti.
A complicare la strada per una proroga del protocollo si è poi messo di traverso il Giappone, che a Cancun ha detto chiaramente che non darà il suo consenso né per la proroga del protocollo di Kyoto, né per gli emendamenti al protocollo di Kyoto, né per una seconda fase del protocollo, né per qualunque altro trattato che rassomigli al protocollo di Kyoto. Con il Giappone ci sono il Canada, la Russia e alcuni paesi in via di sviluppo. Date che il processo negoziale dell’Onu è basato sul consenso _ serve l’unanimità _ la proroga è al momento su un binario morto. Irritata la risposta della Cina e dei G77: “Kyoto _ ha detto il caponegoziatore cinese Su Wei _ è l’essenziale pilastro del sistema. E se collassa potete immaginare le conseguenze”. Crollo dell’intero edificio.
A smuovere le acque della palude di Cancun è però anche giunta la proposta indiana, formalizzata lo scorso 15 novembre in una lettera riservata del ministro nell’ambiente Ranesh al capo negoziatore americano Stern nella quale si propone un accordo per il monitoraggio, il reporting e la verifica _ tecnicamente noto come MRV _ delle emissioni di gas serra. Il sistema di verifica è essenziale per ogni ipotesi di intesa sulle emissioni ed stato sinora fortemente osteggiato dalla Cina. La proposta indiana sarebbe ora accolta con attenzione da Pechino anche perché come precondizioni ha la proroga del protocollo di Kyoto e nuovi e più stringenti impegni per gli Stati Uniti. Ma ammesso e o concesso che gli Usa possano concederli resta il “no” di Giappone, Canada e Russia alla ratifica del protocollo di Kyoto. E quindi anche qui, a meno che l’India non faccia cadere una delle precondizioni, siamo in un cul de sac.
La realtà è che ci sono troppi se e troppi ma e troppe posizioni pregiudizialmente rigide. Il segretario generale della convenzione, Christiana Figueres, minimizza la posizione giapponese sostenendo che “Tokio ha già espresso altre volte questa posizione e che comunque non sarà a Cancun che si prederà una decisione sul destino di Kyoto, vista la diversità di posizioni”. “Cancun _ ammette però _ sarà un successo solo se tutti le parti faranno un compromesso”. E sarà dura stringere su qualcosa di più di quel “pacchetto bilanciato” che lascia aperte le questioni chiave: che natura dare al protocollo che dovrebbe sostituire Kyoto e quali tagli fare e a chi farli fare. A Cancun non ci sarà quindi un accordo globale, per il quale (forse, ma forse no) si potrà sperare nella conferenza del prossimo anno in Sudafrica, e neppure una intesa sulla proroga di Kyoto.
Il che significa che se non sarà un fallimento perché astutamente nessuno dice di credere in un successo, i pochi progressi che si potranno fare resteranno comunque inadeguati a quel che servirebbe.