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Wikileaks travolge anche i negoziati sul clima: ecco come si compro’ l’accordo di Copenaghen

5 dicembre 2010 0 commenti
Soldati messicani mettono in sicurezza la spiaggia di Cancun: un esempio di approccio muscolare

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dall’inviato Alessandro Farruggia

_ CANCUN _

A pensar male si fara’ peccato ma ci si azzecca quasi sempre disse Giulio Andreotti. E infatti: a Copenaghen lo si era capito. L’accordo raccogliticcio che era stato trovato per salvare la faccia ai Grandi della Terra _ un accordo che fissava solo impegni volontari _ poteva trovare il consenso di molti paesi solo sulla base di forti pressioni, anche economiche. Non si spiegava altrimenti, ad esempio, il fatto che paesi come le Maldive, cioe’ uno tra quelli a maggiore vulnerabilita’, avessero sposato l’accordo dall’inizio. Doveva esserci una ragione. C’era.

Ma quello che e’ emerso dall’ultima tornata di rivelazioni di Wikileaks, anticipate dal Guardian in un articolo che consiglio di leggere attentamente (lo potete trovare QUI), va oltre ogni previsione.  I dispacci delle ambasciate americane mostrano infatti come gli Stati Uniti abbiano usato un mix di spionaggio, promesse di auto economico e minacce per ottenere il consenso da chi non lo voleva dare. Dietro la retorica, una politica cinica e muscolare. E mostrano che l’Unione Europea ha assecondato attivamente questa politica.

Gli esempi fornuiti da Wilikeaks sono lampanti. Il primo e’ un messaggio inviato il 31 luglio 2009 dal dipartimento di Stato, con il quale si richiede ai diplomatici americani di fornire  “human intelligence” (cioe’ di spiare attraverso contatti personali e non elettronici) sui seguenti paesi: Austria, Burkina Faso, Cina, Costa Rica, Croazia, France, Giappone, Libia, Mexico, Russia, Turchia, Uganda, Vietnam, l’Unione Europea e le Nazioni Unite.

Ed evidentemente gli americani non erano i soli a muoversi con lo spionaggio perche’ il 19 giugno 2009, rivela un altro documento, proprio mentre erano in corso delicati colloqui tra l’inviato speciale americano per il clima Todd Stern e la sua contropartre cinese avevne un tentativo di phishing, attraverso 5 mail infette, per cercare di ottenere informazioni riservate. L’attacco falli’ ma e’ evidente da chi provenisse.

Ma c’e’ di piu’ e di peggio. L’accordo raggiunto a Copenaghen era intrinsecamente debole e il Dipartimento di Stato decise cosi’ una operazione di supporto che andasse ora il semplice sostegno economico garantito dai 30 miliadioni di dollari di aiuti per le nazioni piu’ povere.  Per quei soldi c”era la fila, come indica il messaggio inviato il 23 febbraio 2010 dall’ambasciatore delle Maldive negli Stati Uniti nel quale si chiedeva “una tangibile assistenza” e si indicavano progetti per 50 milioni di dollari. ma serviva di pi’ e  gli Stati Uniti coinvolsero anche l’Ue, che accosenti’ e se ne face carico.

In un incontro del 12 febbraio tra il vice inviato speciale amricano per il clima Jonathan Pershing e il commissario per il clima dell’Ue, Connie Hedegaard, questa ultima affermo’ che quelli dell’Aosis (gli stati-isola tra i piu’ vulnerabili al cambiamento climatico. Nda) “possono essere i nostri migliori alleati, vista la loro grande necessita’ di fondi”.  Nostri? Questo voleva dire che l’Ue, ufficialmente recalcitrante nel sostenere il modesto accordo di Copenaghen, lo sosteneva eccome, senza pero’ dilo? ‘Spero che gli Stati Uniti comprendano _ dice la Heregaard _ che l’Ue sta riducendo le sue critiche verso gli Stati Uniti. Cerca di essere costruttiva”. E infatti la Hedegaaard e Froman discussero su come “neutralizzare, cooptare o marginalizzare” paesi come il Venezuela o la Bolovia che si erano messi di traverso all’accordo. Una azione nei fatti, dato che ad aprile gli Usa tagliarono gli aiutio a Bolivia ed ecuador.

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E pure l’Ue si “sporco’ le mani”, come indica un messaggio inviato dall’ambasciata americana a La Paz il 9 febbraio nel quale si racconta come l’ambasciatore danese in Bolivia, Morten Elkjaer abbia detto ad un collega americano che al ertice di Copenaghen “il primo ministro danese Rasmussen, abbia speso una buona mezz’ora con il presidente boliviano Molrales nella quale questi lo ringraziava per gli aiuti bilaterali  (30 milioni di dollari all’anno) ma si rifiutava di cambiare posizione sul clima”. Che cocciuto.

Gli Usa peraltro erano piu’ diretti come indica un messaggio dall’ambasciata Usa di Addis Abeba nel quale e’ riporato l’ultimatum al primo ministro etiope Meles Zenawi : “Firma l’accordo o la discussione finisce ora”. E la risposta di Zenawi fu positiva.

Come opportunamente osserva il Guardian, oggi 116 paesi si sono assciato all’Accordo di Copenaghen, e altri 26 intendono fralo. Titale 140, che e’ nel la parte alta del range ‘tra 100 e 150 paesi’ del targhet rivelato da Pershing nel suo meeting con la Hedegaard dell’11 febbraio 2010.

Missione compiuta. E pazienza come e con quali non espliciti e molto volenterosi alleati. Tra questi i  paesi di quell’Unione europea che ufficialmente fa la paladina della lotta al cambiamento climatico ma in realta’ si e’ spesa per garantire il successo di un accordo che _ nelle migliore delle ipotesi _ fara’ solo perdere del tempo prezioso.