Svolta a Cancun: Cina, India, Sudafrica e Brasile pronti a tagli volontari. Ma in cambio…..
Dall’inviato ALESSANDRO FARRUGGIA
_ CANCUN _
E ora la palla è nelle mani degli Stati Uniti. La Cina e gli altri paesi del gruppo Basic (Brasile, India, Sudafrica) sono diventati il centro gravitazionale del vertice di Cancun facendo una storica apertura su due dei punti chiave del negoziato: l’accettazione di un meccanismo di misurazione e verifica degli impegni di riduzione delle emissioni e la disponibilità a tagliare le proprie emissioni attraverso impegni volontari ma legalmente vincolanti. E’ un passo che risponde alle domande fatte da sempre da parte degli Usa, che ora si trovano stretti in un angolo perché difficilmente saranno in grado _ tantopiù con un congresso dominato dai repubblicani _ di fornire quello che ca Cina e i suoi alleati chiedono in cambio. Certo è che, come dicono in gergo i negoziatori, la palla ha ripreso a rotolare.
Il sentore che la Cina avesse deciso di rompere gli equilibri lo si era avuto già domenica. E ieri Su Wei, il capo negoziatore cinese era stato esplicito: “Non vogliamo solo segnali. Si parla di segnali dal 2005. Vogliamo fatti e se così sarà noi siamo pronti a fare la nostra parte”. Il che significa, spiegava Su Wei, che la Cina è pronta ad avviare la sua lunga marcia verso un taglio delle proprie emissioni. Naturalmente, a condizioni precise. “Come stabilito dall’accordo di Bali _ osserva Wei _ i paesi sviluppati che sono parte dell’annesso 1 devono continuare a ridurre le loro emissioni, avviando la seconda fase del protocollo di Kyoto e con loro anche quelli che non l’hanno ratificato (gli Usa. Ndr). Allo stesso tempo i paesi in via di sviluppo sono pronti a prendere azioni volontarie per contenere le loro emissioni in un contesto di sviluppo sostenibile e con il contributo finanziario e tecnologico dei paesi sviluppati. Questo il pacchetto bilanciato che possiamo realizzare a Cancun, credo le premesse per una intesa globale a Durban, il prossimo anno”.
Da notare che secondo voci che circolano a Cancun la Cina starebbe elaborando assieme ad esperti britannici un sistema interno di permessi di emissione su modello di questo fatto dall’Europa con la direttiva Ets e il sistema sarebbe pronto tra 5 anni: ecco perchè Pechino vuole il mantenimento del protocollo. Perché dopo il 2015 potrebbe entrare in un accordo “Superkyoto” assieme a India, Brasile, Sudafrica e, spera, gli Stati Uniti.
Nel tardo pomeriggio di ieri l’incaricato speciale cinese per il clima e capodelegazione di Pechino Xie Zhengua ha incontrato la stampa ed è stato ancora più netto. “Siamo disponibili _ ha annunciato _ ad un taglio volontario delle emissioni, che può essere fatto in ambito della Convenzione sul clima e sotto la forma di uno strumento giuridicamente vincolante. Quello che immaginiamo è un percorso a tre corsie. Una costituita dal protocollo di Kyoto che riguarderà che l’ha ratificato, una per chi l’ha firmato ma non ratificato e all’interno della Convenzione dovrà effettuare tagli comparabili con i paesi che stanno nel processo di Kyoto, e una infine per i paesi in via di sviluppo che presenteranno impegno volontari. Tutti gli impegni, anche quelli non Kyoto dovranno essere essere verificabili e giuridicamente vincolanti: la forma la troveremo se ci sono volontà e flessibilità”.
Era già abbastanza, ma poco dopo Zenghua si è presentato in conferenza stampa assieme al collega indiano Jairam Ramesh e a quelli brasiliano e sudafricano, facendo una dichiarazione formale come gruppo Basic.
“Siamo fortemente determinati _ha detto Ramesh _ a raggiungere un successo qui a Cancun. Ma ci sono tre punti non negoziabili.Il primo è l’assoluta necessità di avere un secondo periodo di impegno per Kyoto, affinchè vi siano impegni di riduzione dei paesi sviluppati anche dopo il 2012. La seconda condizione è quella di accelerare i meccanismi finanziari a favore dei paesi in via di sviluppo, a partire da quel meccanismo “fast start” avviato a Copenaghen con un piatto teorico di 30 milioni di dollari ma che sinora è rimasto lettera morta. Terzo e ultimo elemento, la necessita di avviate un meccanismo di trasferimento tecnolgico che sia efficace”.
Ramesh ha anche chiarito che il gruppo Basic non pensa affatto ad un accordo senza gli Usa. “Avere un accordo senza di loro _ ha detto _ è senza senso. Dobbiamo portare gli usa al tavolo di trattativa e portarlo a fare offerte migliori”. L’America infatti ha promesso di ridurre le proprie emissioni del 17% rispetto al 2005, il che è pari a una riduzione di appena il 4% rispetto al 1990, anno base per le trattative. “Considerando che Obama può fare ricorso solo a misure regolatorie perché non controlla più il congresso _ ha sottolineato il ministro indiano _ questo significa che la possibilità, secondo studi accurati, di ottenere al massimo un taglio del 14% rispetto al 205, che è come dire zero riduzione rispetto al 1990. Una offerta profondamente deludente considerando che parliamo di obiettivi al 2020. E anche sui fondi per il fast track, per i quali ha stanziato solo 1,7 miliardi di dollari, l’America può fare di meglio”.
L’impressione è che i paesi Basic abbiamo nesso sul piatto quello che l’America chiedeva ma abbiano posto condizioni che molto difficilmente Obama sarà in grado di accettare. Questo, allo stato.
In realtà l’offerta Basic è flessibile, e se concederà più fondi per il fast track (che Basic ha chiarito che non andranno a nessuno dei paesi che fanno parte dell’accordo ma finirebbero ai paesi davvero sottosviluppati) e soprattutto farà partire il meccanismo di trasferimento tecnologico (che interessa moltissimo ai paesi Basic) la trattativa potrà trovare una sintesi e portare ad un intesa a Cancun che sfoci poi ad un accordo a Durban, in Sudafrica, nel 2011. Ma la palla ora è all’America e per Obama non sarà un lancio facile.