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Cancun: ecco le bozze di accordo. Modeste, come previsto

11 dicembre 2010 0 commenti

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Dall’inviato

Alessandro Farruggia

CANCUN

Nella notte di Cancun, l’ottimismo deborda. Tutti (o quasi ) parlano di accordo positivo, inaspettato. Per alcuni addirittura storico. Ma andando a vedere i due documenti presentati dalla (ottima) presidenza messicana _ e adesso, alle 24 ora locale, le 7 del mattino in Italia, in corso di discussione _  che ha fatto l’impossibile per resusciutare una conferenza nata morta e che invece avrà il merito di mantenere vivo il processo, c’è ben poco di quello che suscita entusiasmo.

Molte associazioni ambientaliste _ dal Wwf a Greenpeace a Oxfam _ sottolineano che nel testo delle azioni cooperative di lungo periodo si fa riferimento a “impegni legalmente vincolanti”  e che nel testo sul gruppo di lavoro per i futuri impegni di fa riferimento a “riduzioni del  25-40% entro il 2020″ e che di fatto si creano le condizioni per un secondo periodo d’impegno per il protocollo d Kyoto . Se così fosse sarebbe un risultato eccellente.

Ma non è così. Le carte non mentono, leggiamole. Iniziamo dal documento della presidenza sulle azioni cooperative di lungo periodo. A pagina tre, un passo lungamente citato (anche a sproposito), si afferma: “Cercando di assicurare il processo in una maniera bilanciata e nella compresione che con questa decisione non tutti gli aspetti del lavoro del Working group sulle azioni cooperative di lungo periodo sono conclusi e che nulla in questa decisione dovrà pregiudicare le prospettive per, o il contenuto di, un un risultato legalmente vincolate per il futuro…si afferma che…”.

Ergo, da nessuna angolazione è possibile affermare che questo significhi il riconoscimento delle necessità di un accordo legalmente vincolante. Nel testo si afferma invece che nonostante l’accordo non risolva tutti i problemi, “nulla in questa decisione dovrà pregiudicare le prospettive per un accordo legalmente vincolante in futuro”. Cioè: nonostante su questo punto nell’intesa ci sia poco, non deve pregiudicare che in futuro possano trovarsi accordi legalmente vincolanti. Modesto.

Secondo punto: il gruppo di lavoro sul protocollo di Kyoto. A pagina 2 si afferma che “riconoscendo che il gruppo di lavoro III del 4° rapporto dell’Ipcc indica che la limitazione del suo danno potenziale richiederà entro il 2020 ai paesi  Annex I una riduzione nel range del 25-40% al di sotto dei livelli del 1990″ invita con urgenza i  paesi i Annex I “ad alzare il livello di ambizione nelle riduzioni di emissioni con la prospettiva di ridurre il loro livello di emissioni in accordo con quanto indicato dal Working group III”. Cioè: si riconosce che l’Ipcc richiede una riduzione del 25-40% e si invita i paesi sviluppati a raggiungerla. Ma non si va oltre. E’ un caldo invito, e basta. Nessuna decisione di raggiungere l’obiettivo, neppure di “tendere a”. Praticamente, acqua fresca.

Terza questione, il prolungamento di Kyoto verso un secondo periodo di impegno. Nel documento della presidente non c’è nulla di tutto questo. Ci si limita ad affermare a pagina 2 che “la conferenza è d’accordo che il gruppo sugli impegni di lungo periodo completi il suo lavoro in modo da avere il suo lavoro approvato prima possibile e in tempo per assicurare che non c’è gap tra il primo e il secondo perido di impegno”. E’  una formula indiretta e un pò involuta per dire che  va approvato il secondo periodo di impegno.Ma è un auspicio, e non c’è ALCUN impegno. Deludente.

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Un passo postivo _ sempre nel documento sulle azioni di lungo periodo _ è invece che si fissi chiaramente l’anno di riferimento per il secondo periodo d’impegno: il 1990 (e non era scontato). Ugualmente positive sono l’indicazione che “servono profondi tagli nelle emissioni di gas serra” e la riconferma degli obiettivi di Bali, mentre è deludente che non indichi quado le emissioni dovranno raggiungere un picco (la definizione indicata è: prima possibile. grazie, non ci avevamo pensato).   Importante, nel capitolo sulle azioni di mitigazione, la parte dedicata al meccanismo di verifica e acconting delle emissioni, anche quelle dei paesi in via di sviluppo, che vengono invitati “a fornire volontariamente notizia delle azioni domestiche di mitigazione” che verranno inserite in un apposito registro: ma “solo quelle finanziate da aiuti internazionali saranno soggetti a misurazione, reporting e verifica”.

Grande spazio è poi dato alla questione (urgente) dell’adattamento, per il quale si crea un “Cancun adaptation framework” che darà vita ad opportuni piani nazionali. Globalente positiva anche la parte relativa alle foreste, per la cui protezione si garantiscono incentivi. Tra le parti costruttive anche il fatto che la loro protezione non darà crediti di carbonio. Ma sulle foreste ci sono anche molti problemi: ad esempio si consentono azioni “a livello subnazionale”, il che significa che  le industrie del legname potranno spostarsi da una area all’altra dello stesso paese e continuare a tagliare. Bilancio misto.

Abbastanza buona anche la parte sulle finanze. Si conferma il fondo “fast start” di 30 milioni nato a Copenaghen per adattamento e mitigazione nei paesi meno sviluppati e per la finanza di lungo periodo si riconosce l’obiettivo (già fissato a Copenaghen, di un fondo di 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020 per far fronte alle necessità dei paesi sviluppati. Ed è figlio di Copenaghen anche il “Green climate found” _ che viene rivendto come nuovo mentre non è così_ che sarà l’entatità operativa del meccanismo previsto dall’articolo 11 della convenzione. Sarà governato da un consiglio di 24 membri (metà dei paesi sviluppati, metà no)e per i primi tre anni il trustee sarà affidato alla Banca Mondiale. Ma ancora non si sa come e da chi  sarà finanziato (e non è una mancanza da poco).

Il testo sottolinea anche la necessità per più azioni sul fronte del trasferimento di tecnologie (altra idea presa dall’accordo di Copenaghen!) e per questo decide di creare un “technology mechanism” per facitare l’implementazione delle azioni e ne fissa le modalità di azione.

Riassumendo: non c’è un obiettivo di mitigazione, non c’è alcuna garanzia che ci sarà un secondo periodo di Kyoto, non c’è alcun impegno per dar vita  ad un accordo globale se non in vaghissimi termini di principio. Certo, ci sono intese settoriali su finanza, verifica e accounting delle emissioni, foreste. Ma manca la sostanza: la mitigazione. Senza quella le emissioni contiueranno a crescere e accordi come quello di Cancun saranno solo una risposta parziale e inadeguata.

Sostenere che l’accordo di Cancun _ se ci sarà _è solo un primo passo verso un accordo globale a Durban il prossimo anno è una pia speranza non suppotata da alcuna garanzia e ricorda pericolosamente un film già visto. L’accordo doveva trovarsi a Copenaghen nel 2009, ricordate? E così non è stato. Vi fidate che vada diversamente?

E se mai si raggiungesse un accordo a Durban si sarebbero comunque persi due anni e ben difficilmente si otterrebbe una ratifica del nuovo trattato in un solo anno, prima della scadenza del primo periodo di impegno di Kyoto (31 dicembre 2012).

Quindi, Cancun _ che ha ottenuto il manimento in vita del processo negoziale e ha fissato una serie di progressi su argomenti di seconda e terza fascia _ è stata una ennesima occasione persa da parte di paesi incapaci di trovare un accordo che risponda alla necessità primaria: mitigare, cioè ridure le emissioni e farlo presto. L’incapacità è mascherata da compromessi che non risolvono il problema.

Fare buon viso a cattivo gioco non rallenterà il riscaldamento della nostra atmosfera. Che a dispetto dell’ottimismo e delle belle parole continua ad accumulare gas serra e a riscaldarsi. 

Il bicchiere è quindi mezzo vuoto. E questa valutazione è largamente ottimista.