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Social Watch: nel rapporto 2009, l’Italia più povera e meno equa

11 febbraio 2010 0 commenti
E’ stato presentato ieri 9 febbraio a Roma il rapporto 2009 di Social Watch People First (vedi sul sito: www.socialwatch.it), che si concentra sulle politiche di contrasto alle crisi, attraverso una serie di analisi e proposte, comparando le azioni dei governi in tema di diritti, a partire da salute, istruzione, sicurezza alimentare. L'incontro, dal titolo "Il Ruolo dell’Italia nella governance mondiale: tra delusioni e speranze della società civile”, ha avuto un alto livello di partecipazione, con un confronto tra due funzionari (Antonio Bernardini, Consigliere diplomatico del Ministro dell’Ambiente e Luca Alinovi, Senior Economist FAO) e vari membri della coalizione italiana del Social Watch, sul ruolo dell'Italia nei vertici internazionali, dal g-20 di Pittsburgh al vertice Fao e a quello di Copenaghen sul clima che si sono svolti negli ultimi 6 mesi.  Ne esce, sostanzialmente, un messaggio di conferma a quanto si afferma nello stesso rapporto: i nostri governi sono in larga parte irresponsabili, quando non sono incapaci o, peggio, rappresentano gli interessi di lobby private. E' chiaro che se queste sono le condizioni, nessuno degli accordi internazionali verrà mai raggiunto o rispettato. L’ultimo rapporto del Social Watch “People First” denuncia che la crisi economica allontana gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e aumenta la disuguaglianza. Lo tsunami della crisi economica si sta abbattendo sui Paesi che meno hanno contribuito a scatenarla. A questo ritmo, l’obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015 rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei Paesi nel mondo. Studiando l’impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri. Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell’aumento del costo delle derrate agricole. Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale. Tramite l’Indice delle Capacità di Base (BCI), il rapporto analizza lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun Paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell’Indice BCI basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi. La crisi finanziaria offre un’opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani. Il BCI è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l’analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata. Tra questi, il 41% fa parte dell’Africa subsahariana. Un dato preoccupante per una regione che già in precedenza registrava i valori più bassi. L’Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente, pur partendo da valori molto bassi, mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti. Al ritmo di sviluppo attuale, solo Europa e Nord America potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell’indice. Ciò significa che, in mancanza di cambiamenti sostanziali, per tale data gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio concordati a livello internazionale non verranno raggiunti. Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps). Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello 0,17%. Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l’Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati. Ultimo ma non per importanza, l'indice GEI (Gender Equity Index GEI), che misura l'equità di genere. Sono presi in considerazione tre fattori che descrivono la situazione femminile: il grado d'istruzione, attività economica (salario medio e grado di occupazione) ed il potere decisionale (politico ed in ambito lavorativo). Per il 2009, il GEI mostra che, nella maggior parte dei Paesi, il divario tra i generi non si stia riducendo, anzi gran parte di quelli dove c’è stato un progresso coincide con quelli che già si trovavano in una situazione migliore rispetto agli altri. La distanza tra Paesi nella migliore e peggiore situazione relativa si è ingrandita. Nel campo dell’istruzione e dell’attività economica la situazione delle donne è migliorata, mentre in quello dell’empowerment nell’ultimo anno circa il 15% dei Paesi ha fatto dei passi indietro, e la regressione è stata così dura che il valore medio globale di questo indicatore è sceso dal 35% del 2008 al 34,5% del 2009. Dallo studio è emerso che, per quanto riguarda la parità tra uomo e donna, l’Italia non brilla come esempio, anzi: il nostro paese, da questo punto di vista non solo non ha fatto progressi, ma è retrocesso. In una classifica di 172 paesi, l’Italia è al 72° posto (rispetto al precedente 70°), con un GEI di 64,5, ben al di sotto della media europea, pari a 72. _________  Social Watch è una la rete di oltre 400 organizzazioni della società civile di 60 Paesi in tutto il mondo, al lavoro da 15 anni per controllare che i governi mantengano le loro promesse sul fronte dello sradicamento della povertà e delle disuguaglianze, del rispetto dei diritti umani, economici, sociali e culturali. Per maggiori informazioni:
www.socialwatch.it e www.socialwatch.org