Assemblea ENI 2010: il testo dell’intervento della Fondazione Culturale Responsabilità Etica
L'azionariato critico si inserisce in questo quadro di attività, per contribuire a riflettere sul ruolo dell'azionista e per favorire la partecipazione dei piccoli azionisti alla vita delle imprese. D'altra parte, l'azionariato critico permette di portare direttamente all'attenzione della dirigenza e dell'insieme degli azionisti alcune questioni particolarmente delicate dal punto di vista della governance, della trasparenza, degli
impatti sociali, ambientali e sui diritti umani di specifici progetti. In questo senso, l'iniziativa è svolta in stretta collaborazione con le reti e le organizzazioni della società civile italiana e internazionale, e con l'obiettivo di portare la voce delle comunità del Sud del mondo impattate dagli investimenti delle nostre imprese, direttamente all'assemblea annuale degli azionisti.
Le azioni di ENI sono state acquistate su proposta della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale – CRBM, un'organizzazione che da quindici anni lavora sui flussi finanziari tra Nord e Sud del mondo e sugli impatti delle imprese italiane all'estero. Vogliamo in primo luogo sottolineare come l'iniziativa di azionariato critico ha portato, pur con qualche difficoltà, a un dialogo proficuo con l'impresa. Si tratta sicuramente di un segnale incoraggiante nell'ottica di una maggiore trasparenza e di un'attenzione alle richieste di tutti gli stakeholders. Nello stesso momento, rimangono a nostro avviso diverse criticità nel comportamento dell'impresa. Criticità che riguardano gli
impatti ambientali e sociali degli investimenti di ENI all'estero, e che più in generale potrebbero avere notevoli ricadute anche dal punto di vista economico e finanziario. Per questo siamo tornati in assemblea anche quest'anno, depositando agli atti un documento che illustra nel dettaglio alcune delle principali questioni aperte e sulle quali chiediamo a ENI delle risposte esaustive. In questo intervento non è possibile né opportuno illustrare l'intero documento e le domande ivi contenute, sulla cui importanza e delicatezza ci permettiamo comunque di insistere. In questa sede, ci limiteremo a porre alcune domande di particolare importanza e rilevanza, anche riguardo il bilancio dell'impresa, che siamo qui chiamati ad approvare. I progetti che abbiamo seguito con maggiore dettaglio riguardano gli investimenti di (1) ENI in Nigeria, in Kazakistan e nella Repubblica del Congo. Riguardo il Congo, una delle questioni tutt'ora aperte è quella del gas flaring – la pratica che consiste nel bruciare a cielo aperto il gas associato all'estrazione del petrolio - nell'impianto di M'Boundi. Interveniamo su questo tema anche a nome della Heinrich Boell Foundation, con cui abbiamo collaborato nel corso dell'anno a un progetto di ricerca sugli investimenti di ENI nel Paese africano. Nell'ambito del
dialogo con la compagnia, avevamo chiesto a ENI di pubblicare i dati quantitativi e qualitativi circa le emissioni legate al gas flaring. ENI ha segnalato che tale pubblicazione dipende dalle autorità congolesi, ma si è detta contestualmente disponibile a chiedere a dette autorità tale autorizzazione, confermando il proprio nulla osta. Volevamo chiedere se ENI ha dato seguito a tale impegno e quale sia stata la risposta del governo congolese alla richiesta di rendere pubblici i dati quantitativi e qualitativi delle emissioni gassose legate al gas flaring a M-Boundi. Per quanto riguarda la Nigeria, oltre al perdurare del problema del gas flaring, vogliamo sollevare una questione particolarmente delicata e rilevante, tanto per il rapporto tra l'impresa e i suoi azionisti quanto ai fini dell'approvazione del bilancio. Nel corso del nostro intervento dell'anno scorso, avevamo sollevato in maniera puntuale e circoscritta una domanda relativa all'inchiesta per corruzione, avviata dalle autorità statunitensi, relativamente al Consorzio TSKJ che opera a Bonny Island. Come riportato nel verbale dell'assemblea 2009, la domanda testuale della Fondazione era stata:
"(...) Halliburton ha patteggiato con il governo americano una multa da quasi 600 milioni di dollari. Vorrei dei chiarimenti: se a bilancio sono previste delle riserve e il loro ammontare per eventuali multe analoghe o sanzioni analoghe che possono essere addebitate all'ENI, perché pur avendo Halliburton patteggiato, agli atti dell'inchiesta risulterebbe che Eni era consapevole e partecipe. Questo risulta agli atti, poi sarà chi di dovere a verificarlo. Quindi la domanda sull'esistenza di riserve attiene al bilancio di quest'anno". A tale domanda non è stata fornita nessuna risposta soddisfacente che entrasse nel merito di quanto chiesto. Possiamo fornirvi la risposta integrale del Dott. Scaroni alla domanda stessa, ma non crediamo sia necessario illustrarla per intero in questo momento.1 Rimane il fatto che solo diversi mesi dopo, ad agosto del 2009, ENI ha riconosciuto per la prima volta la possibilità di dover eventualmente pagare delle
multe alle autorità americane, e solo a marzo 2010 ha dichiarato di avere messo a riserva 250 milioni di euro per fare fronte a tale eventualità.
Vista anche la rilevanza della somma in gioco e gli impatti su bilancio e azionisti, ci domandiamo se davvero sia possibile che dei piccoli azionisti, con una conoscenza molto limitata dell'impresa, avessero previsto tale eventualità mesi prima della dirigenza di ENI. In alternativa, il fatto che ENI non abbia risposto, in sede di approvazione del bilancio, a una domanda direttamente attinente al bilancio ci sembra di estrema gravità. Ancora più grave se si considera che la domanda è stata posta durante l'assemblea degli azionisti nei soli 5 minuti l'anno a disposizione degli azionisti per un confronto diretto con la dirigenza dell'impresa. Nella relazione finanziaria annuale 2009, Eni dà inoltre conto del procedimento italiano aperto sul caso di Bonny Island, che comporterebbe il rischio di condanne e sanzioni ai sensi del decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società.
“In caso di condanna ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231", si legge nella relazione di Eni, "oltre alle sanzioni amministrative, è applicabile la confisca del profitto del reato. In fase di indagini preliminari sono possibili il sequestro preventivo di tale profitto e misure cautelari". Nella stessa relazione finanziaria, Eni ha reso noto altresì che, in data 1 ottobre 2009, “è pervenuta dalla Procura della repubblica di Milano, una richiesta di consegna ai sensi dell’art. 248 del codice di procedura penale nell’ambito di un "procedimento penale contro ignoti" con riferimento a “ipotesi di corruzione internazionale, appropriazione indebita e altri reati” in Kazakistan (Impianto di Karachaganak e progetto Kashagan). Visto che il possibile coinvolgimento di Eni nello scandalo di Bonny Island ha fatto scendere l'utile 2009 della società - nel settore "Ingegneria & Costruzioni - del 15,7% rispetto al 2008, come azionisti di Eni non possiamo che essere preoccupati per le nuove indagini in corso. La corruzione è infatti sicuramente un problema etico, ma anche economico. Chiediamo quindi ad Eni di mettere tempestivamente a disposizione degli azionisti un rapporto che spieghi nel dettaglio gli impatti potenziali sui bilanci futuri delle sanzioni per il possibile coinvolgimento in casi di corruzione, con una accurata valutazione dei rischi etici, reputazionali e finanziari. Riteniamo infatti che i rischi derivanti da eventuali condanne ai sensi del Foreign Corrupt Practices Act degli Stati Uniti e del decreto 231 del 2001 in Italia siano troppo elevati per poter essere ignorati. E questo vale sia per i rischi etici e reputazionali a cui Eni sarebbe esposta, sia per i rischi che venga intaccato l'utile della società, come già accaduto nel 2009.
Infine, tornando alla Nigeria, nel documento consegnato agli atti abbiamo anche ripreso le conclusioni di un rapporto realizzato da Amnesty International sugli investimenti delle compagnie petrolifere in Nigeria e i loro impatti sui diritti umani. Nel rapporto, Amnesty International chiede alle compagnie petrolifere, tra le altre cose, di trasformare in realtà gli impegni presi pubblicamente in materia di diritti umani e di
ambiente e di pulire l'inquinamento causato negli scorsi decenni. Chiediamo qui quali misure abbia messo in pratica ENI per rispondere a queste sollecitazioni.
Come accennato, molte altre domande sono state poste nel documento depositato agli atti della presente assemblea riguardo i progetti di ENI in Congo, Nigeria e Kazakistan. Ci auguriamo, nell'ottica di una sempre maggiore trasparenza, che ENI si impegni a rispondere in maniera esaustiva a tali importanti questioni. Come primo segnale, e per permettere una corretta valutazione dell'operato dell'impresa nell'anno appena trascorso, rimaniamo in attesa di una risposta sui punti appena sollevati. (1) Paolo Scaroni: "Per quanto riguarda Bonny Island, il procedimento che noi chiamiamo TSKJ, dai nomi dei membri del consorzio, è una vicenda che risale a molti anni fa e il Dipartimento della Giustizia americano sta indagando su presunti pagamenti illeciti effettuati da questo consorzio nel periodo dal 1995 al 2004, a favore di pubblici ufficiali nigeriani in relazione alla costruzione di impianti di liquefazione a Bonny Island, Nigeria. Il consorzio era costituito da 4 società, ciascuna con un 25%, SNAM PROGETTI NETHERLANDS BV, controllata della SNAM PROGETTI S.p.A., era una delle 4, invece HALLIBURTON era il capo del consorzio.
Già a partire dal 2004 siamo stati contattati dal Dipartimento di Giustizia americano con il quale abbiamo cooperato fin dall'inizio, cooperato da una parte e tenuto informato il Consiglio di Ammininistrazione dall'altro, è scritto nel nostro bilancio.
HALLIBURTON ha patteggiato, sia in termini penali che in termini di ammenda, ci sono dei contatti in corso sia con il Dipartimento di Giustizia, sia con la Procura di Milano che fin dall'inizio si era attivata su questo tema per verificare l'aderenza alla 231 o comunque comportamenti illeciti. Noi cosa abbiamo fatto di fronte a tutto questo? Il Consiglio di Amministrazione è stato informato addirittura a partire dal giugno del 2004, ha periodicamente monitorato le indagini, i passi fatti, abbiamo sistematicamente collaborato con le autorità competenti, sia il Dipartimento di Giustizia, sia la Procura di Milano, abbiamo avviato - e questo è più recente - una revisione del complesso delle procedure aziendali, applicabili su temi di anticorruzione, per essere sicuri che fenomeni come quello che si potrebbe essere verificato non possa verificarsi nel futuro, poi abbiamo approvato, in seno al Consiglio di Amministrazione, una delibera che dice: qualora emergessero comportamenti illeciti in questa vicenda da parte di dipendenti ENI (SNAM PROGETTI) o ex dipendenti ENI (SNAM PROGETTI), Eni promuoverà tutte le azioni legali a sua disposizione a tutela dei suoi interessi e a tutela dell'immagine della nostra azienda.
Noi abbiamo un codice etico, quindi preveniamo condotte illecite attraverso l'aderenza al codice etico a cui tutti i dipendenti Eni sono
obbligati. Il nostro codice etico che utilizziamo nel mondo è talmente severo e preciso, che è uno degli elementi che ci ha consentito di essere qualificati come la compagnia al mondo migliore in termini di sostenibilità. Può non bastare un codice etico ed è necessario mettere in piedi di volta in volta quelle procedure più specifiche che possono andare a rendere impossibili dei reati, tipo quelli che forse sono stati commessi nel caso di Bonny Island ed è per questo che andiamo a rivedere le procedure, di tanto in tanto, per essere sicuri che al nostro interno abbiamo in piedi tutti gli strumenti perché la nostra società si comporti in aderenza al nostro codice etico e ai nostri principi aziendali."