Una politica poco rinnovabile
Tra le pale eoliche di varia natura, i pannelli solari di ogni dimensione e gli specchi che concentrano il Sole il tutto in mostra alla Fiera Roma alla sesta edizione di Zeroemission ciò che è vera merce rara è la politica, visto che di politici se ne sono visti sul serio pochi. Ed è strano visto che dai molti esperti intervenuti all’appuntamento fin
o ad ora l’indicazione è quella che oggi stiamo vivendo una rivoluzione energetica senza precedenti e a trainarla sono proprio le energie pulite.
Nel 2009 in Europa, infatti, il 63% di tutti i nuovi impianti di produzione energetica utilizza fonti rinnovabili e anche in Italia in poco più di un decennio si è passati da poche decine di grandi centrali elettriche a oltre 100.000 punti di produzione di energia elettrica diffusi su tutto il territorio, soprattutto eolici e fotovoltaici. Certo siamo distanti dalla Germania, che è in pole position con una geografia della produzione energetica che è stata completamente stravolta in pochi anni e oggi conta un milione gli impianti, piccoli o grandi, diffusi sul territorio. Ma anche per il Bel Paese, comunque, la strada è questa e non è più un’affermazione visionaria dire che sul lungo periodo, verso il 2050, si può arrivare al 100% di produzione elettrica da fonti rinnovabili.
«L’idea di coprire tutto o quasi il fabbisogno elettrico con energia pulita non è più un tabù: negli ultimi mesi studi di diversa provenienza, elaborati da università, associazioni industriali e politici, attestano come questo traguardo non è affatto irrealizzabile. – afferma Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club – Il più recente è uno studio dell’Agenzia federale per l’Ambiente tedesca, che prevede di soddisfare oltre l’80% della domanda di energia da fonti rinnovabili, mentre il nucleare, contrariamente a quanto si è detto anche su molti giornali italiani nei giorni scorsi, è destinato a scomparire del tutto entro il 2030 e avrà solo un compito di transizione verso un mix energetico totalmente ecocompatibile».
E per quanto riguarda l’Italia è interessante ciò che ha affermato Roberto Longo, presidente di Aper, l’associazione dei produttori di energie rinnovabili: «Il nostro Paese può avere un ruolo trainante, a patto di darsi una politica energetica coerente. Il governo ha appena varato il nuovo sistema di incentivazioni del fotovoltaico in Conto Energia, valido dal 2011 al 2013, ma ha dimostrato ancora una volta di avere un cuore che batte tutto per il nucleare. Si dice che l’atomo abbatterà del 25% i costi di produzione dell’energia ma nella realtà, visto che questi costi rappresentano solo il 30% delle bollette che paghiamo, i benefici saranno minimi e anche con il nucleare continueremo a pagare l’elettricità più degli altri europei. L’unica strada per superare questa impasse è puntare decisamente alle energie rinnovabili, con un piano che non si esaurisca in tre anni, ma fornisca un quadro di riferimento certo e a lungo termine per l’industria italiana del settore». E Andrea Solzi, segretario generale del Gifi, gruppo delle imprese italiane del fotovoltaico, ha sottolineato lo stato di saluto del comparto delle rinnovabili: «Soltanto con la nostra associazione, che fa capo ad Anie Confindustria, rappresentiamo 130 aziende, per almeno 6.000 posti di lavoro impegnati direttamente nella produzione. Il nostro settore è in continua crescita, l’unico forse in Italia che non abbia perso occupazione in questo periodo di crisi. La nostra previsione è di arrivare a una potenza installata complessiva di energia fotovoltaica di oltre 15.000 MW nel 2020. Un dato più che doppio rispetto a quanto ha invece ipotizzato il governo nel suo piano per lo sviluppo delle energie rinnovabili, presentato lo scorso luglio nell’ambito degli impegni assunti in sede europea per la riduzione delle emissioni inquinanti (la cosiddetta direttiva 20-20-20)».
E questa è solo una parte dello scenario. Uno studio dell’Università Bocconi, infatti, prevede che solo in Italia nei prossimi dieci anni si investiranno nelle rinnovabili oltre 40 miliardi di euro, con ricaschi economici in settori come quello elettrico e meccanico nei quali il nostro Paese è particolarmente forte. Il tutto, inoltre, si tradurrà in un incremento dell’occupazione nel settore che va dai 60.000 addetti, secondo l’Ires Cgil ai 250.000 stimati dalla Bocconi. Ma quando si tratta di rinnovabili, al contrario del nucleare, la maggior parte dei politici nostrani latitano, al contrario della cancelliera tedesca Angela Merkel che non perde occasione d’inaugurare impianti rinnovabili. Forse i nostri rappresentati alle rinnovabili non ci credono proprio e sono troppo legati alla cultura delle fonti fossili? Oppure la diffusione delle rinnovabili con la democrazia energetica che introduce è vista come troppo pericolosa? Sarebbe stato divertente porre queste questioni a Zeroemission a qualcuno dei nostri rappresentanti al Governo. Se si fossero visti.