Contesto atomico
Diciamocelo francamente. In Giappone l’erba del vicino è di un verde che non mi piace: radioattivo. Alla vicenda del disastro naturale che ha colpito la nazione del Sol Levante, si aggiunge quella dell’incubo, continuato e aggravato dalle notizie, del nucleare che deve far riflettere, come fanno tutti i Governi con un poco di sale in zucca, compreso quello francese – lo fa a modo suo ma lo fa – su cosa è successo in Giappone attorno alle centrali nucleari, ma soprattutto perché un numero consistente di reattori abbiano problemi a catena.
Semplice. Il nucleare è intrinsecamente insicuro. Mentre le centrali fossili, a gas, a carbone, a olio combustibile, gli impianti eolici e fotovoltaici in mancanza di governo semplicemente si spengono per mancanza di combustibile i primi, vanno in avaria per mancanza di manutenzione i secondi, le centrali nucleari abbandonate a se stesse aumentano di potenza, vanno oltre i parametri di lavoro, si surriscaldano e fondono.
È semplice e non si discute. E’ fisica. Ed è ciò che è successo in Giappone. Le centrali hanno resistito, forse, al terremoto, ma non i sistemi vitali per il sostentamento, necessari anche quando sono bloccate, per raffreddarle. Non è il nucleare in se stesso che ha ceduto in Giappone, ma il contesto. La violenza dello tsunami ha abbattuto le reti elettriche, ha invaso i locali ausiliari delle centrali e soprattutto ha bloccato i generatori diesel necessari a far girare le pompe di raffreddamento. Il contesto territoriale in Giappone, quindi non è adatto a questa fonte energetica, e c’è da chiedersi: in Italia troverà il contesto giusto l’atomo?
Secondo i nuclearisti nostrani che si sbracciano in queste ore a minimizzare gli incidenti, anche di fronte all’immagine della centrale numero 1 di Fukushima scoperchiata da un’esplosione, l’Italia – che ha una pericolosità sismica di livello medio-alto secondo la protezione civile – non ha problemi. E a sostegno di ciò arrivano le tesi più bizzarre. «Non subiamo terremoti del 9° grado e nel Mediterraneo gli tsunami non sono così devastanti»: 1908, terremoto di Messina, “solo” 7,2 ° Richter, 120mila morti di cui molti dovuti a un triplice tsunami con onde tra i sei e i dodici metri. Bene. Di sicuro sullo stretto non ci andrà una centrale atomica – ci metteranno un ponte mai costruito prima al Mondo, anche in zone non sismiche, ma questa è un’altra storia – per cui si sceglieranno i luoghi non compresi tra i 3069 comuni del nostro Paese che sono classificati ad alto rischio sismico. Si spera. Bisogna, però tenere conto del contesto. Non solo di terremoti soffre l’Italia.
La nostra nazione, infatti, è tra quelle capofila per il dissesto idrogeologico aggravato, continuato e voluto. Frane, smottamenti, colate di fango, alluvioni e allagamenti riempiono le cronache non appena piove per più di due giorni e sono esattamente acqua e fango che, dopo le scosse, gli ingredienti della crisi atomica giapponese. Certo ci spiegheranno che i generatori diesel per il raffreddamento dei bollenti spiriti nucleari saranno corazzati, protetti da muri più alti che in altri paesi, o addirittura che saranno messi sul tetto in posizione irraggiungibile dalle alluvioni. Per poi accorgersi, come è successo in Francia, che 34 reattori su 58 hanno difetti congeniti dalla nascita che in caso d’emergenza potrebbe impedire il funzionamento dei sistemi di sicurezza. E questo è il contesto tecnologico. Insomma ciò che dovremmo imparare da ciò che sta accadendo in Giappone è che se da un lato è possibile convivere con i terremoti – per gli tsunami è più difficile anche se qualcosa si potrebbe fare, come limitare la cementificazione delle coste – convivere con il nucleare è impossibile. E di qui al referendum cercheranno di convincerci del contario.